Governo, i timori tra i ministri per l’«incidente» sul Mes. E Franceschini avvisa: «Se succede crolla tutto»
L’appello dai colori un po’ cruenti con cui Luigi Di Maio l’altra notte implorava i dissidenti del Movimento a «non portare Conte al patibolo» ancora risuona nelle stanze di Palazzo Chigi, che mai come in questo fine settimana si trova sotto il fuoco amico dei partiti. Il voto di mercoledì nell’aula del Senato sulla riforma del Mes (qui la scheda: cos’è e come funziona) fa paura, per quanto il premier continui a esorcizzarlo assicurando che no, il governo non cadrà. Anche grazie all’«azione di sensibilizzazione» interna condotta da Di Maio per ripescare i più inquieti tra i ribelli. La preoccupazione però resta e non è solo nello psicodramma senza fine dei 5 Stelle, ma nell’insofferenza crescente dei leader verso le scelte (e le scelte mancate) del capo dell’esecutivo.
In un clima avvelenato da rivalità e gelosie, molte delle quali innescati dai 209 miliardi del Recovery, tra i ministri è tornato a girare il mantra che il capo delegazione del Pd, Dario Franceschini, è solito scandire nei momenti difficili per allontanare lo spettro della crisi: «Quando il quadro è troppo fragile basta un incidente parlamentare per far crollare tutto, anche oltre la volontà di chi lo ha provocato». In piena pandemia, con i consensi in calo e dentro uno scenario a così alto rischio, se davvero volessero difendere il governo i leader delle forze politiche dovrebbero fare da scudo al presidente del Consiglio. E invece, ecco che Nicola Zingaretti, fino a qualche tempo fa il più solido alleato di Conte, rispolvera echi di andreottiana memoria e avverte che governare non può essere «tirare a campare». Ecco che Matteo Renzi invoca «un salto di qualità» e sulla Stampa si porta avanti, quasi sperando che il giurista pugliese scivoli sul Mes: «Se il 9 Conte va sotto si deve dimettere». Raccontano fonti di governo che il pressing sul fondatore di Italia viva è già partito e andrà avanti fino all’ingresso mercoledì nell’aula di Palazzo Madama. Uno dopo l’altro segretari e ministri proveranno a convincere il senatore di Rignano che il Quirinale non vede subordinate, «se si apre la crisi l’unica strada sono le urne».
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