Silvia Avallone: «La scuola diventi la casa di chi studia, senza i giovani non c’è speranza»
Ragazze e ragazzi lontani, sgranati o controluce, rimpiccioliti dagli schermi. Mi ha fatto effetto vederli così, ciascuno chiuso nella propria cameretta, come dispersi in una galassia a distanza siderale. A dire la verità, mi ha stretto il cuore.
In queste settimane ho incontrato alcune classi delle superiori tramite Google Meet. Dovevo parlare io con gli studenti, ma avrei voluto ascoltarli. Chiedere loro: Come state? Siete diventati allergici a Internet a forza di usarlo? Ci siete rimasti male, quando vi hanno detto di tornare a casa dopo appena un mese e mezzo di lezioni in presenza? Vi siete sentiti traditi, abbandonati? La scuola vi manca?
Quest’ultima domanda me la sono lasciata sfuggire a voce alta. Ho osservato i loro volti annuire contro pareti piene di mensole e poster, i rettangoli neri di chi aveva disattivato la videocamera. Ho ascoltato il loro silenzio, il loro disorientamento, negli auricolari. Poi un ragazzo ha risposto: «In classe, non potevamo toccarci né scambiarci una penna, suggerire attraverso la mascherina. Però, se qualcuno di noi se ne usciva con una battuta, tutti ridevano, e ti sentivi insieme lo stesso».
A incontro terminato, dopo i saluti un po’ impacciati via Wifi, ho riflettuto su questa risposta. Una battuta, le risate che esplodono tra i banchi: è un’esperienza che tutti abbiamo vissuto dentro un’aula scolastica, così lieve, ma che a pensarci bene è il cemento di una comunità. L’atto di nascita di una società fondata non sul sangue, ma sulla cultura. Sulla libertà di scegliere.
La missione di un adolescente è, in fondo, tradire la propria famiglia per diventare se stesso. Mi riferisco a un tradimento sano, creativo, che certo è doloroso quanto necessario. Se i nostri genitori hanno sognato per noi una carriera che non ci rispecchia, dobbiamo imparare a ribellarci. Se hanno sbagliato, è giusto che i loro errori non ci ricadano addosso. L’istruzione è l’unica strada per non subire un destino. Uscire di casa ed entrare a scuola è il viaggio più importante della nostra vita, perché la libertà di sognare con la propria testa non si apprende altrove. Il nostro futuro, sia come singoli che come collettività, si gioca qui.
Provo angoscia ripensando a quei ragazzi arenati davanti a un computer per ore, per mesi. Non possono fare sport, seguire corsi di musica o teatro, ritrovarsi in piazza, baciarsi, uscire, tutte quelle cose che per un adolescente sono la vita. Devono rinunciare, a un’età in cui la rinuncia non è contemplata perché è il momento di sperimentare, osare. È vero che crescere significa fare tesoro di ogni esperienza, anche del dolore, della privazione, del fallimento. Ma, senza la scuola, la privazione non si trasforma in occasione, resta niente. Una cicatrice che non si risolve.
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