E Io pago
di Massimo Gramellini
Gli ingenui che speravano di connettersi a Io, la app dal nome narcisistico con cui lo Stato promette di restituirci la decima parte di ciò che spenderemo in pagamenti elettronici, si sono imbattuti in una scoperta affascinante: a tempo di record la nostra burocrazia è riuscita a riprodurre sul cellulare le disfunzioni che l’hanno resa famosa nel mondo. Per accedere al servizio bisogna registrare i propri dati, ma appena ci si avventura nell’impresa, sullo schermo appare una clessidra, versione tecnologica dell’impiegato che al telefono diceva «Resti in linea», lasciandoti in attesa per ore, e allo sportello si allontanava con la tua pratica sotto il braccio per non tornare mai più. Chi ha la forza morale di aspettare l’esaurimento della clessidra senza esaurirsi viene ricompensato da un florilegio di frasi dilatorie, forse ideate da un pool di psicologi esperti in calmanti di massa. Tipo: «Si è verificato un errore temporaneo», dove l’enfasi è caricata su quel «temporaneo» che sa di eternità, ma serve a derubricare il disservizio a malanno di stagione, incitandoti a ritentare la sorte come alle slot machine.
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