Grazie a Paolo «Pablito» Rossi l’Italia cambiò umore
di Aldo Cazzullo
«El hombre del partido es Paolo Rossi (ITA)». La scritta sul tabellone del Camp Nou – che allora era nuovo davvero – comparve mentre le squadre stavano ancora giocando. Era l’8 luglio 1982, a Barcellona l’Italia stava battendo la Polonia nella semifinale del Mundial con una doppietta del centravanti: quasi normale amministrazione dopo la vera impresa, i tre gol rifilati al Brasile. Quella scritta non celebrava soltanto un calciatore. Non soltanto una Nazionale, e una nazione, la nostra. Quella scritta chiudeva un’epoca, e ne inaugurava un’altra. Tre giorni dopo, lo stesso Rossi apriva le marcature nella finale con la Germania, e le feste in un’Italia all’improvviso irriconoscibile, stravolta dalla gioia e dall’emozione.
Grazie a Paolo Rossi, che tutti da quel momento e per sempre chiamarono Pablito – pareva davvero un ragazzino, e così l’abbiamo pensato sino all’ultimo, tanto che la notizia della sua morte ci pare impossibile -, l’Italia cambiò umore. Nella percezione comune, finivano gli anni di piombo e cominciavano davvero gli Anni 80: il riflusso, la febbre del sabato sera, il campionato di calcio più bello del mondo, la Milano da bere, eccetera eccetera.
Era una percezione; non la realtà. Il 1982 fu un anno terribile per il terrorismo. Ma quella festa collettiva era il segno che il Paese voleva voltare pagina, chiudere il tempo degli scontri di piazza, della violenza politica, della battaglia ideologica. Libero ognuno di distinguere il confine tra levità e superficialità, di coltivare nostalgie, di stilare graduatorie di valore, di dare il proprio giudizio; resta il fatto che è andata così.
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