Addio a «Pablito» Rossi, è stato l’immagine di un Paese intero
Leale con gli allenatori, con Bearzot sicuramente, ma anche con Giovanni Battista Fabbri che ha curato i suoi primi passi nel Lanerossi Vicenza. «Fabbri è stato un padre per me». «Devo tutto a Bearzot» se parlava della sua avventura in Nazionale col c.t. Perché Rossi dava molto, ai suoi tecnici, ai suoi compagni, se c’era un pertugio, un corridoio si infilava con i tempi giusti. Poca forza, ma tanto talento, tempismo e coraggio. La testa la usava sempre, in ogni azione, e ce la metteva sempre: così nascevano i suoi gol. Nella Juventus, nel Milan, nel Perugia dove è stato amato, sempre. La sua carriera ha sempre vissuto sull’amore. Per esempio ben voluto e rispettato in tv come commentatore, a Mediaset e in Rai, perché anche nei giudizi usava una dote non comune: il garbo. Ci lascia un grande campione, ma non solo del calcio, il mondiale del 1982, quell’Italia fantastica, incorniciata dall’urlo liberatorio di Marco Tardelli che ha abbattuto i confini ha trovato trascinatore ideale Paolo Rossi. Aveva confidato in una intervista: «Quella squadra non aveva paura di niente e nessuno. Era guidata da un condottiero che sapeva non solo allenarci, ma anche parlarci, trattarci ed educarci». Paolo Rossi ha sempre giocato e segnato seguendo il messaggio e la lezione del suo maestro.
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