Quattro riforme possibili

Due riforme, l’organizzazione dei tribunali e il penale che non sarebbero ben viste né dagli avvocati (il cui lavoro diminuirebbe) né dai giudici, il cui lavoro aumenterebbe. Ecco un modo in cui un presidente del Consiglio avvocato potrebbe segnalare la sua determinazione.

Veniamo alle misure per uscire da un ventennio di assenza di crescita. «Dietro al ritardo italiano, si legge nel Piano, ci sono problemi noti, mai affrontati con sufficiente determinazione». Vero: cominciamo allora dal Mezzogiorno. La differenza tra i salari nominali al Nord e al Sud è di circa 4,2 punti. In Germania la differenza di salario all’Ovest e all’Est è di oltre 28 punti. Siamo d’accordo che per crescere occorre allineare le retribuzioni alla produttività? E che la strada per mantenere il livello dei redditi nel Mezzogiorno è un aumento della produttività, non retribuzioni sussidiate? Se questo è vero la «fiscalità di vantaggio» recentemente introdotta dal governo — cioè la riduzione di un terzo dei contributi sul lavoro per gli occupati al Sud — non è la strada giusta perché sussidia occupazione a bassa produttività. Certo, consente di creare più posti di lavoro, ma questo è un obiettivo diverso da quello enunciato, cioè la crescita.

Molti pensano che l’eredità della pandemia sarà una diversa composizione dei consumi per renderli compatibili con il distanziamento sociale, un’esigenza che non sparirà presto. Come si adatta la struttura produttiva ad un cambiamento delle abitudini di consumo? Secondo me facendo leva su chi è più pronto a recepire i desideri dei consumatori, cioè gli imprenditori. E allora, siamo sicuri che allargare il perimetro dell’intervento dello Stato nell’economia attraverso strumenti come la Cassa depositi e prestiti sia la strada giusta? Imprese pubbliche che non rischiano perché sono comunque garantite dallo Stato hanno meno incentivi di imprese private a fiutare il vento della domanda. Incentivare gli investimenti privati e abbassare le tasse sulle imprese sembrerebbero una strada migliore.

Per la scuola io continuo a pensare (come Alberto Alesina ed io scrivevamo sul Corriere due anni fa) che essa deve essere la «casa» dei ragazzi. Non deve chiudere, nei giorni di lezione, alle 14 e poi andare in vacanza dall’8 giugno all’8 settembre. Nei giorni di scuola deve rimanere aperta fino alle 18 e le vacanze estive molto più brevi, un mese, sei settimane al massimo. Le famiglie più ricche hanno molti modi per tenere occupati i figli durante le lunghe vacanze: seconde case, baby sitter per i più piccoli, corsi all’estero per imparare una lingua. Le famiglie meno abbienti no. Non dobbiamo poi stupirci se, soprattutto al sud, ragazzi lasciati tanto a lungo con nulla da fare sono attratti dalla criminalità, molto abile a reclutare ragazzi delusi dalla scuola e annoiati. In molti luoghi, per la verità più a Milano che in Calabria, sono le parrocchie a fare supplenza il pomeriggio e durante le vacanze: che questo aiuto sia benvenuto! Ma lo Stato non può abdicare e affidarsi alla Chiesa cattolica. Uno Stato laico non può obbligare i ragazzi ad andare in parrocchia, ma può richiedere che stiano a scuola e tenerla aperta. Quindi scuole aperte molto più a lungo. Questo ovviamente richiede un’integrazione di stipendio per gli insegnanti. Saranno fondi ben spesi, soprattutto al Sud, a patto di controllare il loro lavoro e di retribuire meglio gli insegnanti che più si impegnano.

CORRIERE.IT

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