Covid, ospedali e terapie intensive, il Sud regge meglio del Nord
Che
c’è di vero dietro queste cifre? Il dubbio che siano “miraggi
statistici” è forte. «Un bilancio si potrà fare solo a bocce ferme –
risponde l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco che da qualche settimana è
assessore alla Sanità della Puglia – Tuttavia, fra mille guai e
nonostante il Sud parta staccato del 25/30% sul Nord, la rete sanitaria
del Mezzogiorno sta reggendo perché quest’estate abbiamo messo fieno in
cascina. Mi piace dire che a ottobre ero più preoccupato di oggi».
Lopalco
è alle prese con una ostinata resistenza del virus nella sua Puglia che
ha portato gli infetti dai 42.500 del 4 dicembre ai 51.200 di ieri. I
ricoverati però sono stazionari: erano 1.596 il 4 dicembre sono 1.587
oggi. «Il fatto è che da noi la sanità è ridotta all’essenziale – spiega
ancora Lopalco – Altrove talvolta scappa il lusso di qualche
ospedalizzazione non indispensabile. Noi no. In terapia intensiva invece
non ci sono trattamenti diversificati».
Fatto sta che anche sulle
rianimazioni (che costano 1.000 euro al giorno) le differenze
statistiche non mancano. In Campania, ad esempio, i letti “intensivi”
occupati sono appena 137, il che significa 1 ogni 42.000 abitanti contro
i 330 del Veneto che equivalgono a 1 ogni 15.000 abitanti.
Perché? Si sa che in Piemonte la Regione usa una quota di terapie intensive per accelerare le guarigioni. Ma un fattore importante che sta aiutando il sistema sanitario del Sud è l’età media, che nel Mezzogiorno è più bassa. La Campania veleggia a quota 42,5 anni contro i 45,4 dei veneti. Questo dato incide anche molto sulla mortalità, anch’essa assai favorevole al Sud: 40 decessi ogni 100.000 abitanti in Sicilia contro i 235 della Lombardia o i 160 del Piemonte. «C’è molta materia di studio – chiosa Lopalco – però possiamo dire che il virus cambierà la storia sanitaria italiana anche sul fronte dei giudizi facili».
IL MESSAGGERO
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