La lezione Mannino: la storia non l’hanno mai scritta i giudici

Ora torno a Mannino, ma pensate all’incredibile gestione del caso dell’uxoricida di Brescia, assolto non per gelosia, come è stato sostenuto ovunque (assolto per gelosia è dizione inesistente nei codici), ma perché incapace di intendere e di volere. E assolto non significa pacca sulla spalla, vai e ammazza tranquillo, significa ricovero coatto e indeterminato in case di cura. Come ha scritto qui Giorgio Varano, alla perizia della difesa dell’assassino, persuasa dell’incapacità di intendere e di volere, l’accusa ne ha richiesta una propria, ed è andata allo stesso modo: incapace di intendere e di volere. Nonostante la doppia indicazione scientifica, la procura ha chiesto comunque l’ergastolo, e la corte d’Assise ha sentenziato: incapace di intendere e di volere. Ha prevalso la collettiva sete di punizione e di ordalia, cioè lo scandalo per l’omicida assolto. Non era la storia di un (ex) potente democristiano, era la storia drammatica di un povero spostato e della sua povera moglie ammazzata.

Fra i pochi commenti dedicati all’assoluzione di Mannino, mi ha colpito quello di Attilio Bolzoni, valoroso cronista di Repubblica, di cui ancora ricordo l’articolo vibrante di rabbia e commozione in racconto della macelleria di Capaci, macellati Giovanni Falcone, moglie e scorta. Ieri sosteneva che, quando si scrive la storia della mafia, non ci si può più affidare alla magistratura. Nel mio angoletto, lo penso da sempre. Toglierei quel “più”, toglierei anche “mafia” e scolpirei nel marmo quel che resta: quando si scrive la storia non ci si può affidare alla magistratura. La storia la scrivono gli storici. La magistratura scrive le sentenze. Le sentenze sono un elemento della miriade cui lo storico attinge. Fine.

All’inizio degli anni Novanta, la classe politica su cui si era poggiato il paese per il mezzo secolo scarso successivo alla Seconda guerra mondiale – Dc e alleati di centrosinistra, socialisti, liberali, repubblicani, socialdemocratici – mostrava il fianco. Erano stati decisivi (con i comunisti) nella stesura della Costituzione antifascista e antitotalitaria, sulla Costituzione avevano fondato l’alleanza con le democrazie occidentali, avevano ricostruito il Paese, lo avevano reso ricco e moderno, ma il nuovo mondo successivo al crollo del blocco sovietico li aveva colti impreparati. Nasceva il web, nasceva Schengen, nasceva la competizione globale, e la nostra classe dirigente, da mezzo secolo salda sulla scialuppa americana, in quel mare non sapeva nuotare. Sarebbe stata sostituita da nuove formazioni politiche con nuove idee, e invece le grandi inchieste del 92-94 furono incaricate di fare piazza pulita e di stabilire la verità storica: che il pentapartito era corrotto al Nord e mafioso al Sud. C’era del vero, ma non era la verità storica. La verità storica, per come l’ho imparata io, è che un ciclo era finito e la disinvoltura corruttiva era il sintomo dell’aggravarsi della malattia. La verità storica non la redigono i giudici ma tantomeno la redigono le procure, e per anni si sono spacciate non le sentenze ma addirittura le inchieste – col loro addobbo di retorica salvifica – per verità storica, col risultato di cancellare i meriti della democrazia italiana e di concedere a tutti noi il ridicolo alibi: dopo anni di vacche grasse eravamo ridotti a pane e non sempre companatico perché la casta ci aveva rubato i soldi ed era interamente mafiosa. Lo stile di vita di un intero popolo – dedito all’assenteismo, all’assistenzialismo, all’evasione fiscale – derubricato a effetto collaterale. La responsabilità collettiva di un popolo nei destini del suo Paese, dimenticata. Piuttosto comico.

Per concludere, più nei dintorni di Mannino, la sua ultima assoluzione attiene al ruolo, che non ebbe, nella trattativa Stato-mafia. La verità storica raccontata da quasi trent’anni di inchieste, è che Paolo Borsellino fu fatto saltare in aria perché alla trattiva si opponeva. Venne arrestato un rubagalline (Vincenzo Scarantino), raccontato come un mafioso di rango, torturato, costretto a parlare, e sulle sue deposizioni si costruì un processo concluso con dovizia di ergastoli, e successivamente, in un’altra sentenza, chiamato “il più colossale depistaggio della storia della Repubblica italiana”. A distanza di anni, infatti, saltò fuori un altro pentito, Gaspare Spatuzza, stavolta spontaneo, con un racconto lineare e verificabile, e il primo processo venne cancellato: gli ergastolani liberati. La teoria che Borsellino fosse stato ammazzato per l’ostilità alla trattativa si indebolì, e ora si fa quasi inconsistente, stabilito che alla trattativa Mannino non prese parte, e l’ipotesi della trattiva perde ulteriore vigore.

Ecco, l’ipotesi della trattativa è labile. Altrettanto labile l’ipotesi della strage di via D’Amelio come conseguenza alla trattativa. E allora perché Borsellino morì? E perché si cercò di darne una spiegazione con un processo rinominato “più colossale depistaggio della storia della Repubblica italiana”? Chi ingannò e chi si lasciò ingannare? Che parte ebbe la polizia? Quale parte la magistratura? Chi e perché voleva morto Borsellino? Da chi fu coperto? Forse un giorno avremo un’accettabile verità processuale. Forse. Forse, fra molti anni, avremo anche una verità storica, scritta da uno storico lontano dalle nostre implicazioni emotive, e libero dalla minaccia ritorsiva di un potere giudiziario in costante abuso di forza e di potere.

L’HUFFPOST

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