Anche Giuseppe Conte ha la “sindrome di Palazzo Chigi”

Quando qualche psicologo o psichiatra finalmente darà alle stampe il primo trattato di Neuropolitica (la scienza che indaga sulle turbe mentali dei nostri leader, dal narcisismo alle manie di persecuzione all’infantilismo acuto), un intero capitolo non potrà non essere dedicato alla ben nota «sindrome di Palazzo Chigi»: il disturbo di cui sono raramente vittime i premier della Prima e molto più spesso quelli della Seconda Repubblica. Per non fare nomi, ne hanno sofferto personaggi del calibro di Bettino Craxi, Ciriaco De Mita, Silvio Berlusconi, Romano Prodi, Mario Monti, Matteo Renzi. Sta mostrando chiari sintomi di questa sindrome pure l’attuale presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sebbene all’inizio ne fosse sembrato stranamente immune. Si tratta in pratica di una malattia professionale legata all’esercizio del comando, al delirio di onnipotenza che ne deriva e, volendo nobilitarla, al carico spaventoso di responsabilità sulle spalle di uno solo; per cui strada facendo viene smarrito il senso delle proporzioni e al suo posto si sviluppa un concetto esagerato del proprio ego, fino al punto di considerarsi indispensabili, insostituibili ma non solo, purtroppo. Vediamo meglio di cosa si tratta.

All’origine della sindrome chigiana c’è l’illusione di essere l’ombelico del mondo. Te la trasmette la finta familiarità che si instaura nei summit internazionali, cara Angela e carissimo Donald, un po’ come entrare in un olimpo di vip planetari dove simpatie e capricci si mescolano con gli intrighi di Stato. Il senso di appartenere a un club esclusivo si corrobora in virtù di certi privilegi, all’apparenza meschini, che vanno dall’utilizzo dei voli di Stato (Renzi si fece acquistare un apposito Air Force One) ai picchetti d’onore con pennacchi e presentatt’arm, dai fondi riservati ad uso del premier e dei più stretti collaboratori ai dossier degli 007 infarciti di pettegolezzi; per non dire dell’esercito di cortigiani e ruffiani, di «nani e ballerine» (come si sarebbero definiti ai tempi di Craxi) dai quali un premier è circondato, adulatori capaci di farti provare da subito la libidine del potere. Col risultato che in breve tempo ti scordi di essere stato un signor nessuno, magari un avvocato che passava di lì per caso; dimentichi di guidare il governo grazie ai partiti, ai loro voti, ai loro orrendi maneggi, e ti convinci di avere un seguito elettorale, un consenso tutto tuo fondato sul rapporto diretto con il paese. «Io e popolo». Cominci dunque a compulsare i sondaggi che spesso vengono taroccati apposta per farti piacere; cedi alla tentazione di calibrare le scelte in base al consenso; moltiplichi gli appelli e le comparsate tivù; ti ergi a paladino del fare, del lavorare, del rimboccarsi le maniche contro i «gufi» della politica che remano contro, o ti infilano i bastoni tra le ruote.

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