Anche Giuseppe Conte ha la “sindrome di Palazzo Chigi”
Questo nella prima fase, quella napoleonica. Dopodiché ne subentra un’altra, più subdola, col terrore di finire a Sant’Elena, l’ansia che possano rubarti il giocattolo, la paranoia dei nemici annidati ovunque. Après moi le déluge. Il cerchio dei fedelissimi si restringe con l’espulsione dei tiepidi. Renzi aveva il suo «Giglio magico», ma Conte lo sta surclassando: per la prima volta nella storia d’Italia s’è tenuto stretto la guida dei servizi segreti. Al picco del solipsismo crolla la fiducia nei ministri (anche se definiti «i migliori del mondo»). Anziché coinvolgere il Parlamento, vengono convocate kermesse nei luoghi ameni, reclutati tecnici che fanno capo personalmente al premier, frotte di consulenti a botte di 300 per volta come sul Recovery Fund. La sindrome spinge a mettersi in proprio, a fondare nuovi partiti o partitini. Perfino Lamberto Dini, dopo aver guidato il governo, ne aveva messo in piedi uno. Fu imitato da Mario Monti e pure Conte, a quanto pare, sta accarezzando l’idea.
Infine l’ultimo stadio della malattia, il suo triste e patetico finale: quando il premier viene detronizzato. E una volta diventato «ex» non riesce a parlare d’altro che del suo mitico governo, delle grandi riforme lasciate in eredità, di quelle altre ancora migliori che gli hanno impedito di consegnare ai posteri. Finisce quasi sempre così, tra mille recriminazioni e il successore che diventa automaticamente l’Usurpatore. Conte non è ancora arrivato a questo punto; ma, vista l’aria che tira, si direbbe che ormai gli manca poco.
L’HUFFPOST
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