Maestra vittima di revenge porn licenziata. La preside alle colleghe: «Prendo ogni pretesto per mandarla via. Cercate di farla sbagliare»

di Simona Lorenzetti

«Non darà le dimissioni: cercate di indurla a fare qualcosa di sbagliato così lo prendo come pretesto per mandarla via. Fatemi ‘sta cortesia, io non so più cosa fare. Ce l’ho a morte con lei e non voglio nemmeno vederla». A parlare è la direttrice dell’asilo nido in cui lavorava la giovane maestra licenziata perché il fidanzato aveva diffuso alcune sue immagini hot sulla chat del calcetto. La voce della dirigente scolastica è racchiusa in un file audio – tratto dal gruppo WhatsApp dell’asilo – ascoltato in Tribunale nel corso del processo in cui la donna (difesa dall’avvocato Valentina Zancan) è accusata di diffamazione e violenza privata. Nello stesso procedimento è sotto accusa anche la mamma di un bimbo che frequentava il nido e che a sua volta avrebbe fatto circolare le foto intime della maestra.

Sono due i messaggi vocali che la direttrice invia alle colleghe del nido dopo aver saputo che la giovane educatrice – all’epoca 22enne – non era più disponibile a firmare le dimissioni. Il tono di voce e il linguaggio usati dall’imputata rivelano il clima di tensione e rancore che si respirava al nido. Ma soprattutto raccontano come la direttrice avesse in mente di liberarsi della maestra: doveva essere mandata via a «tutti i costi» perché c’era in gioco il buon nome dell’asilo. Quindi, doveva essere «indotta in errore», magari affidandole i bambini più vivaci o mettendola in difficoltà con i turni di lavoro. In questo contesto assume un valore anche la scansione temporale degli eventi.

Il 26 marzo del 2018 la vittima (assistita dai legali Dario Cutaia e Domenico Fragapane) scopre da un’amica che l’ex aveva pubblicato sulla chat dei compagni di calcio diverse immagini che la ritraevano in pose erotiche. Il giorno dopo – il 27 marzo – incontra in un bar la preside dell’asilo e le confida quanto accaduto. La direttrice la invita a licenziarsi, accusandola di essere «incompatibile con il lavoro di educatrice». Aggiungendo che «se avesse dato spontaneamente le dimissioni», lei «non avrebbe avvisato le altre strutture». Viceversa, «avrebbe avuto un marchio per tutta la vita». In un primo momento, la giovane rimane ferma sulle proprie posizioni. Ma poi la direttrice la convoca a un incontro con le colleghe, «sottoponendola a una gogna pubblica».

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