Dpcm e ristori, per bar e ristoranti l’indennizzo copre solo parte dei danni: la serrata costerà 7 miliardi
di Michele Di Branco
Quattrocento milioni, poi aumentati a 645 per il pressing di Iv e Pd, di sostegno ai bar e ristoranti costretti a chiudere durante le Feste. Soldi trovati in extremis dal governo. Qualcosa certo, ma decisamente ancora poco. Anche se si considera che in un anno normale a dicembre la ristorazione fattura 8 miliardi. Quest’anno non si andrà probabilmente oltre i 4 miliardi. Quattrocento milioni, insomma, sono solo il 10% del fatturato. Solo il giorno di Natale per il pranzo il fatturato del settore è di circa 300 milioni. Secondo i calcoli di Confcommercio, i negozi nel loro complesso dovrebbero bruciare 7-10 miliardi di fatturato tra Natale, Capodanno e la Befana. Il governo ha già investito circa 100 miliardi dall’inizio della crisi e non ci sono i margini per una ulteriore deviazione dei conti pubblici. Appuntamento rinviato a gennaio quando Palazzo Chigi chiederà un ulteriore scostamento di Bilancio, sul 2021, da 20 miliardi.
Roma, ristoranti chiusi a Natale. Caos regole ma è boom di prenotazioni
Soldi che serviranno a finanziare un decreto Ristori-quinquies necessario a indennizzare le perdite delle festività e a realizzare un intervento generale di ristoro perequativo che prescinda dai codici Ateco, dai gradi di rischio epidemiologico e guardi a quanto accaduto nel 2020 per compensare le perdite di fatturato (anche della filiera) registrate nella seconda parte del 2020. Verrà anche identificato un criterio temporale che vada al di là delle singole mensilità per non penalizzare una serie di attività che hanno natura stagionale. Nel provvedimento allo studio del Tesoro, dovrebbe trovare posto un ulteriore stop alle tasse.
La gastronomia
Questa volta il gruppo Castroni ha fatto bene i conti. Dopo la Pasqua completamente invenduta, «abbiamo comprato il 60% dei prodotti rispetto all’anno prima, non più mille panettoni ma 600 e così via». A parlare è Roberto Castroni, imprenditore dell’omonimo gruppo, titolare del negozio storico di via Cola di Rienzo e di quelli in via Frattina e viale Marconi. «Siamo andati al buio, tagliando un buon 40% di ordinazioni. E possiamo dire che questo è stato un Natale da 60%. Forse per il settore food anche migliore di quanto pensassi visto il momento tremendo che stiamo vivendo, anche se peseranno i mancati acquisti degli ultimi giorni». Un marchio romano che si è difeso grazie ai romani, visto il turismo assente. «Queste misure ci danneggiano sicuramente per tutta la parte legata a fine anno come pure per la Befana, però l’80% del lavoro si sarà esaurito intorno al 23.
A quel punto il Natale quest’anno è terminato: dal 25 al 6 gennaio rimarrà un invenduto, forse riusciremo a vendere un 10%. Ma ci siamo salvati e parlo a nome della categoria del settore alimentare. Siamo in guerra e noi siamo soldati, ci dicono di fare questo e lo facciamo. Siamo parte del popolo e subiamo le regole stabilite, non sappiamo cosa le giustifica. Ma il settore che chirurgicamente è stato colpito più di tutti è quello della ristorazione. Spero che arrivino interventi mirati per loro, che sono la colonna della nostra economia. In Italia siamo famosi per il mangiare, se saranno chiusi per i prossimi mesi rappresenterà un grosso danno a livello turistico. Siamo in contatto con tanti ristoranti chiusi. Il mancato acquisto di tutta una serie di prodotti di qualità da parte loro si ripercuote sui nostri fatturati. Parlo di tutte le specialità di un certo livello, dalle spezie ai risi, alle bottiglie importanti. Cose che non si trovano normalmente in giro».
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