Crescita, tre condizioni per una svolta necessaria
Innanzitutto dobbiamo far fronte alla caduta della popolazione in età lavorativa: entro il 2032 il numero di persone di età compresa tra i 15 e i 64 anni diminuirà del 6 per cento. Come ha osservato il Governatore della Banca d’Italia nella sua ultima Relazione annuale, «il calo proseguirà, accentuandosi, nei decenni successivi, e alla contrazione della popolazione in età da lavoro si assocerà il progressivo aumento della sua età media». Senza lavoro non si cresce. Oltre che da un riassorbimento della disoccupazione, queste tendenze vanno contrastate con politiche immigratorie lungimiranti e con l’ allungamento della vita lavorativa.
In secondo luogo la produttività. Scrive sempre il Governatore Visco: «Per riportare il tasso medio di espansione del Pil all’1,5 per cento registrato nei dieci anni precedenti la crisi finanziaria del 2008, nel prossimo decennio la produttività del lavoro dovrebbe crescere di circa lo 0,8 per cento l’anno», cioè dovrebbe raddoppiare.
Che cosa freni da anni la produttività della nostra economia è una questione annosa. Il primo punto è distinguere fra imprese grandi e piccole e fra imprese private e amministrazioni pubbliche. La produttività delle nostre imprese private medio-grandi, soprattutto nel settore manifatturiero, è comparabile, se non superiore, ai livelli delle analoghe imprese tedesche e francesi. La produttività è bassa nelle imprese troppo piccole e nel settore pubblico. Uno dei motivi, secondo le ricerche di Fabiano Schivardi della Luiss e Tom Schmitz della Bocconi, sono gli incentivi dei manager. Il modello famiglia-banca chiuso ad apporti di capitale e di competenze esterne frena la produttività di aziende private troppo piccole. Qui Industria 4.0 aiuta poiché consente di aggirare la dimensione dell’impresa trasferendo alcune funzioni, ad esempio il controllo di qualità, a valle, ai propri clienti. Nelle imprese pubbliche la produttività è frenata dalla politica che distorce gli incentivi dei manager. L’illusione, che da qualche anno ha ricominciato a diffondersi, che lo «Stato imprenditore» possa aiutare l’efficienza della nostra economia è una delle idee più pericolose in circolazione.
Ma il «pubblico» non include solo le imprese di proprietà di amministrazioni pubbliche. Alla nostra produttività del lavoro contribuiscono anche i 3,5 milioni di dipendenti pubblici, alcuni dei quali da mesi in smart working a casa e in parte pronti a scioperare perché l’aumento medio di 100 euro lordi al mese previsto dalla Legge di bilancio non basta.
Infine la scuola, perché produttività significa capitale umano prima ancora che capitale fisico. Ci sono ragazze e ragazzi che da dieci mesi non tornano a scuola e ora temono che le aule non riaprano neppure dopo l’Epifania. Proprio da qui bisognerebbe ripartire, destinando le risorse europee (che non ha caso hanno il nome di Next Generation EU) in primo luogo alla scuola. Magari con il progetto che da alcuni anni con ostinazione promuovo, prima con Alberto Alesina, ora, in modo molto meno efficace, da solo. Scuole aperte tutto il giorno e gran parte dei giorni dell’anno così che diventino «la casa degli studenti».
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