E Conte disse: io speriamo che me la cavo
di MICHELE BRAMBILLA
La chiusura di Natale è un pasticcio, abbiamo titolato ieri, e questo è un giornale che era sempre stato più che comprensivo con il governo. Abbiamo scritto più volte che il Covid è una brutta bestia arrivata all’improvviso, che tutto il mondo si è trovato in difficoltà e che nella prima fase tanti Paesi celebrati come modelli di efficienza si sono comportati peggio di noi. Ma oggi purtroppo abbiamo l’impressione che il motto di chi ci governa sia io speriamo che me la cavo.
Quello che è successo negli ultimi tre mesi ha dell’incredibile. A ottobre Conte ci aveva chiesto un novembre di sacrifici per salvare il Natale. A inizio dicembre ha annunciato che evviva, per le feste non ci sarebbero più state regioni rosse, tutta Italia sarebbe stata in “giallo-scuro”. Fino alla scorsa settimana era certo che i ristoranti sarebbero rimasti aperti. Poi il dietrofront. La situazione non è migliorata come si sperava e quindi ci si è dovuti correggere? E passi. Ma l’indecisione e la confusione degli ultimi giorni è imbarazzante. Per approdare, per giunta, a norme incomprensibili.
L’altro ieri il decreto prevedeva che nei giorni arancioni non ci si potesse spostare fra comuni mentre in tutti quelli rossi (che dovrebbero essere i più restrittivi) ci si può spostare all’interno della regione se si va verso “un’abitazione privata” (e quindi da chiunque), ma solo dalle 5 alle 22 (e chi si muove di notte?) e non più di una volta al giorno (e chi controlla?). Un delirio al quale il governo ha dovuto cercare di porre rimedio ieri con qualche precisazione. Ma riuscendo perfino a sbagliare la data del decreto sulla Gazzetta Ufficiale: 19 dicembre 2021.
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