Romano Prodi: «Conte deve fare in fretta. Renzi? Stia attento alle curve e alle discese»
Nonostante le condizioni in cui si trova la burocrazia?
«Ne
conosco le debolezze e, proprio per questo, ho recentemente firmato un
manifesto per la riforma della burocrazia che certamente può migliorare,
se vengono semplificate le procedure e le si danno indicazioni
operative precise. Tuttavia le grandi decisioni politiche, come il
collegamento con regioni e Parlamento, non possono non essere in mano al
governo. Vanno utilizzate le strutture statali, buone o cattive che
siano. L’alternativa è quella dell’interessante progetto di Giorgio La
Malfa, che chiede di fondarsi su una struttura esterna, con un Mario
Draghi o un Sabino Cassese alla guida. Il progetto riflette
preoccupazioni oggettive, ma secondo me senza la collaborazione della
pubblica amministrazione ogni soluzione è velleitaria. Conte prenda in
mano le cose».
Ma non è nemmeno riuscito a decidere sul Mes. Errore o scelta lungimirante?
«Errore.
Ma errore comprensibile, dati i rapporti di forza. Il Mes è un prestito
con interessi a tasso zero, e quindi ci aiuta. Rifiutarlo è uno
sbaglio, che nasce dall’ideologia dei Cinque Stelle. È terribile quando
l’ideologia si fa teologia ed entra, come tale, nelle scelte della
politica. Imprigiona nel passato e inibisce uno sguardo sul futuro».
Quanto rimane del populismo trionfante alle Politiche del 2018?
«Do
una risposta tecnica. I sondaggi parlano di una forte riduzione dei
consensi al M5S, e di decine di parlamentari usciti e in attesa di
schierarsi altrove. Dunque, politicamente il populismo è in crisi. Ma
nel pensiero del Paese ce n’è ancora tanto. Si salda alla protesta sul
Covid e alimenta una cultura antiistituzionale senza senso. Abbiamo
commesso errori, ci sono ritardi, alcune misure sono buffe, a essere
indulgenti. Ma non siamo gli animali peggiori del gregge europeo. Vedo
un dibattito fuori dalle righe che nutre il populismo».
Lei prima accennava a Draghi.
L’evocazione di un suo governo è figlia della stima per l’ex presidente
della Bce, o la spia della voglia di persone più competenti?
«Quando
i problemi sono gravi, si pensa sempre a qualcosa che viene dal cielo,
al “deus ex machina”. Ma spesso gli italiani attendono un salvatore per
poi crocifiggerlo. E poi, non mi consta che Draghi sia stato consultato.
Né qualcuno si è posto il problema di un governo con chi, con che voti,
con quali condizioni e programma. Ripeto: oggi è ancora solo
un’evocazione del “deus ex machina”. È il desiderio tipico di un Paese
scontento e disorientato».
E forse alla ricerca di un’altra classe dirigente…
«Ma
ragazzi, questo è un Paese in decadenza. La forza dell’Italia nelle
istituzioni internazionali, nel Mediterraneo, in Libia e Libano, nella
politica estera è diminuita. Vendiamo sempre più le nostre imprese agli
stranieri. O si recupera visione etica e politica, o si continua a
andare giù».
È tra quanti pensano che se cade il governo si vota?
«Penso
che trovare un’alternativa sarebbe complicato. Dipende dal Quirinale,
ma è facile scivolare verso le elezioni. Credo però che solo un
incidente possa fare cadere questo governo, incidente che può sempre
capitare. In ogni caso, o si trova in anticipo un accordo su un
esecutivo diverso, o si va a un compromesso, magari un rimpasto che per
definizione non si sa come vada a finire. Sono comunque convinto che né
Iv, né gli scontenti del Pd vogliano arrivare al voto. Vedo solo una
somma di interessi e malesseri personali, neppure d’accordo tra di
loro».
Non è poco.
«Sarebbe pericoloso anche perché lo stesso Fondo per la ripresa subirebbe le conseguenze di una rottura».
Un Parlamento così frammentato quale
capo dello Stato sarà in grado di eleggere nel 2022? Lei ha subito il
fuoco amico come candidato al Quirinale.
«Sì, secondo la
storia, cartesianamente dovevo essere eletto. Ma quella del Quirinale è
una storia di sorprese, da sempre. Voto segreto e manovre sono più
importanti degli accordi sulla carta. Riflettiamo sul passato: nessun
presidente tra quelli immaginati un anno prima è stato poi eletto. Le
previsioni sono impossibili: lo erano anche quando c’erano i partitoni.
Hanno sempre prevalso fattori dell’ultim’ora. Anche in questo caso, chi
entra Papa esce cardinale».
Crede che le grandi potenze avranno influenza?
«Meno
di un tempo, forse perché siamo più periferici. Semmai ci sarà
un’influenza di politici europei, formata da intrecci e conoscenze
personali e di partito».
Siamo più periferici anche nel Mediterraneo?
«Purtroppo
sì, sebbene il Mediterraneo stia diventando sempre più centrale per gli
interessi europei. Avrei potuto dare una mano sulla guerra di Libia fin
dall’inizio, quando ancora era vivo Gheddafi e 25 capi di Stato
africani chiesero che me ne occupassi. In seguito ne parlai anche con
Renzi premier. Non se ne fece nulla. Ora una mediazione italiana è
impensabile. Siamo fuori gioco, e i Paesi che oggi comandano in Libia
non ci vogliono certo far rientrare».
Conte può ascoltarla. Sa ascoltare?
«Non è questo il problema. Il problema sono le troppe voci che ha dovuto ascoltare».
CORRIERE.IT
Pages: 1 2