Vaccino Covid, se in primavera i numeri saranno bassi via all’obbligo per alcune categorie

Le sue parole di ieri («Non è un tema che mi appassiona») non sono certo una rifiuto categorico. E lasciano capire come questa soluzione venga messa nel conto, se dovesse essere scelta dal governo nella sua collegialità. Semmai la sua prudenza è dettata dalla scelta di non andare di nuovo allo scontro con i sindacati, che protestano da tempo per un aumento contrattuale che giudicano insufficiente. E che anche ieri hanno protestato sotto il ministero, scena surreale in una Roma dove nonostante il ritorno alla zona arancione quasi tutte le serrande di negozi e bar sono chiuse e dove dietro ogni serranda c’è una almeno una famiglia senza reddito.

Certo, imporre l’obbligo non sarebbe indolore. Anche per i risarcimenti dovuti dallo Stato in caso di reazioni avverse, che ci possono essere con i farmaci, compresi quelli che prendiamo senza pensarci su. Ma sul tavolo del ministro della Funzione pubblica e del presidente del consiglio c’è il parere del comitato di bioetica. Dice quel documento, firmato un mese fa, che l’obbligatorietà non si può escludere in caso di emergenza e per alcune categorie. Si può fare, se si vuole. Tuttavia i dipendenti pubblici sono 3 milioni, il 5% degli italiani. Non può essere questa l’unica leva da azionare in caso di necessità.

Per questo la seconda leva è la patente di immunità. Un documento, forse anche un’app, che consentirà solo a chi è vaccinato di viaggiare, partecipare ad eventi come le partite di calcio e frequentare luoghi aperti al pubblico, come cinema e teatri. Può funzionare bene in caso di acquisto centralizzato dei biglietti, come per aerei e treni. Meno per attività capillari, come un concerto nel teatro di periferia o la discoteca stagionale. Chi controllerebbe davvero?

L’ultima leva riguarda i lavoratori del settore privato, che sono 15,7 milioni, cinque volte quelli pubblici. Una platea che può effettivamente spostare la bilancia dell’immunità di gregge. Ma dove l’intervento non può essere calto dall’alto e molto possono fare le aziende, anche nel loro stretto interesse. Per la legge italiana il datore di lavoro è tenuto a tutelare la salute dei dipendenti. Come dovranno comportarsi con chi decide di non vaccinarsi? Dovranno in qualche modo separare vaccinati e non? Dovranno imporre lo smart working a chi dice di no, scelta in realtà a doppio taglio visto che il lavoro agile è spesso molto gradito? In ogni caso le singole aziende saranno tenute a tutelare i propri interessi, creando un incentivo alla vaccinazione. Perché per ora si confida sull’adesione spontanea. Ma non è detto che basti.

CORRIERE.IT

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