Noi che ormai viviamo tutti «nel frattempo», bipolari tra paura e illusioni
Il Papa in piazza S. Pietro il 27 marzo 2020 (Ansa)
Certe ricorrenze sono scritte nel
nostro metabolismo. Che sia salutato da grandi festeggiamenti o
attraversato con sobrietà, il passaggio di anno solare porta con sé la
nozione di svolta.
Al termine di un anno come questo, la suggestione
della «pagina voltata» è più forte che mai. Abbiamo subìto e detestato
il 2020 e riponiamo ogni fantasia di rinnovamento nel 2021.
Dopo la paura, il sollievo. Dopo i limiti, la liberazione. Dopo l’anno della pandemia, l’anno dell’immunità.
D’altra parte, la narrazione imposta dalle istituzioni e dai media a partire da novembre – all’incirca dal giorno in cui Pfizer
ha annunciato i risultati confortanti sulla fase tre – ci spinge
proprio in questa direzione. Il cambio di passo nella comunicazione è
stato così eclatante da somigliare a una strategia di marketing decisa
attorno a un tavolo: ora basta, da adesso speranza. In alto i cuori,
perché siamo all’inizio della fine, ormai è questione di poco, da qui in
avanti si rimane in attesa dell’arrivo messianico del vaccino. La
campagna di vaccinazione inizierà nel più breve tempo possibile e si
svolgerà con la massima efficienza, perché abbiamo stabilito che sarà
così.
Strategia di metafore
Poco importa che pressoché nulla fino a qui sia stato fatto in tempo utile o con la massima efficienza. Poco importa, per esempio, che non abbiamo ottimizzato neppure il sistema dei tamponi, a differenza di altri Paesi europei, e che in certe regioni si debbano pagare cifre insensate anche solo per sottoporsi a un test rapido privatamente, come se la prevenzione fosse la nuova frontiera del lusso. Tutto quello che è stato detto, proposto, messo a punto oppure no, ma comunque instancabilmente dibattuto, non ha più valore. Tanto arriva il vaccino. Perciò ecco il #VaccineDay, ecco la liturgia della prima infermiera a ricevere l’iniezione, ecco il camion che lascia lo stabilimento Pfizer di Puurs proprio alla vigilia di Natale, eccolo che oltrepassa la frontiera e scortato arriva alla capitale. Ecco i rendering dei padiglioni nelle piazze e la profusione di brutte metafore sfinite, la «fine del tunnel» e gli «spiragli di luce», «l’alba dopo la lunga notte» e l’Italia che «rinasce con un fiore».
La variabile che non accogliamo
L’enfasi degli ultimi giorni è il proseguimento coerente della similitudine bellica così in voga in primavera. Quello era il momento dei visi cupi, dei «medici al fronte» e della «guerra contro il virus». Questa è la parte in cui arrivano i nostri, la cavalcata delle forze di liberazione che giungono in soccorso.
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