Dal mondo, 13 immagini simbolo del 2020

(A cura di James Martin)

L’imperversare di una pandemia tra applausi e rabbia dai balconi, bare trasportate da mezzi militari, operatori sanitari con dispositivi di protezione individuale e milioni di persone che manifestano contro il razzismo.

Il 2020 rimarrà nella storia.

Ecco 13 immagini scelte dagli editor dell’HuffPost per raccontare il 2020.

Il Coronavirus ha cambiato tutto, tranne l’ora di punta a Tokyo

Folla di persone alla stazione di Shinagawa a Tokyo, in Giappone, il 2
Folla di persone alla stazione di Shinagawa a Tokyo, in Giappone, il 2 marzo

Nonostante abbia registrato un numero di vittime inferiore a quello di molti altri Paesi, il Giappone non è riuscito a evitare l’impatto sconvolgente del COVID-19 sulla vita dei suoi abitanti.

L’ora di punta di Tokyo, però, non ha subito grandi cambiamenti.

A marzo il governo ha esortato le persone a evitare gli spazi affollati e a lavorare da casa, ma non tutti sono stati in grado di farlo, poiché molti datori di lavoro si sono rifiutati di attuare politiche di lavoro flessibili.

Col tempo la pandemia ha contribuito a ridurre gli assembramenti nelle stazioni ferroviarie giapponesi. Tuttavia, come testimonia questa foto d’inizio marzo, all’ora di punta del mattino i pendolari hanno continuato ad affollare snodi cruciali come la stazione di Shinagawa, nel centro di Tokyo.

A metà dicembre il Giappone registrava almeno 201.000 casi di coronavirus e 2.833 vittime.

— Satoko Yasuda, HuffPost Japan

Le prime luci dell’alba dopo la notte italiana più buia

Il 18 marzo alcuni mezzi militari attraversano le strade di Bergamo. L'esercito è stato impiegato...
Il 18 marzo alcuni mezzi militari attraversano le strade di Bergamo. L’esercito è stato impiegato per trasportare le bare dalla città alle province vicine, visto l’enorme carico di lavoro dei servizi funebri

È stata la notte più buia per Bergamo, la città italiana più duramente colpita dal Coronavirus.

Alle prime luci dell’alba del 18 marzo, dopo aver caricato le bare, 15 mezzi militari hanno percorso lentamente le strade dal cimitero fino all’autostrada. Trasportavano 65 bare che la città non era in grado di seppellire: non c’era più spazio nei cimiteri, le onoranze funebri erano al collasso e non riuscivano più a cremare i cadaveri.

Il 18 marzo l’Italia ha registrato 475 morti da Coronavirus, arrivando così a un totale di quasi 3.000 vittime, di cui 319 nella sola Lombardia, la regione più duramente colpita dalla pandemia.

I militari hanno portato le bare a Bologna e, dopo la cremazione, le ceneri sono state consegnate ai familiari delle vittime. È stato l’unico corteo funebre che Bergamo ha potuto dedicare ai morti. Dalle finestre, le persone guardavano e piangevano.

A marzo e aprile, durante la prima ondata di COVID-19, Bergamo e provincia hanno registrato circa 6.000 vittime. Alla fine di giugno è stata celebrata una messa di requiem per i caduti della città, una grande cerimonia collettiva per quanti non avevano potuto avere un funerale. Durante la pandemia quasi tutti i cittadini di Bergamo hanno perso un genitore, un figlio o un fratello.

— Giulia Belardelli, HuffPost Italia

Un ritratto in mascherina dal fronte coreano

Il 12 marzo l'infermiera Yun Na-yong posa per un ritratto durante una pausa tra un turno e l'altro all'ospedale...
Il 12 marzo l’infermiera Yun Na-yong posa per un ritratto durante una pausa tra un turno e l’altro all’ospedale universitario di Keimyung, a Taegu. Gli infermieri che si occupano dei malati di Coronavirus devono indossare per ore e ore dei dispositivi di protezione integrale, e per evitare piaghe dolorose mettono dei cerotti sul viso

La Corea del Sud è stata tra i primi Paesi a essere colpiti dal Coronavirus e in primavera ha segnato un picco di casi di COVID-19. Nonostante il governo fosse preparato, l’avanzata del virus è stata rapida e dura. Molti cittadini hanno temuto il peggio e si è diffuso il panico.

Gli infermieri in prima linea hanno passato ore e ore ad assistere i pazienti. “Ce la sto mettendo tutta”, ha detto l’infermiera Kim Eun-hee.

Per farcela, però, avevano un disperato bisogno di proteggersi dalle piaghe dolorose causate dal sovrapporsi dei dispositivi di protezione. Hanno iniziato quindi a mettere fascette, cerotti e nastro sulla fronte, le guance e il naso, e a sfoggiarli come medaglie.

Erano immagini incoraggianti, potenti e simboliche. La Corea del Sud è stata in grado di evitare il peggio e chi si è trovato in prima linea ha svolto senza dubbio un ruolo essenziale.

Il 12 marzo, quando l’infermiera Yun Na-yong (nella foto sopra) ha posato per una foto durante una pausa tra un turno e l’altro all’ospedale universitario di Keimyung, a Taegu, le è stato chiesto se avesse un messaggio da dare.
“Vinceremo”, ha risposto.

— Wan Heo, Senior Editor, HuffPost Korea

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