L’affondo di Renzi: al Quirinale va portata l’intesa per un nuovo esecutivo, Conte non ha più i voti
La situazione appare compromessa e l’atteggiamento del premier — anche secondo i maggiorenti del Pd — non aiuta. C’è la prova (una tra le tante) del deterioramento dei rapporti tra palazzo Chigi e i democratici: sta nella trattativa sulla bozza del Recovery fund. A parte i nodi industriali, il premier si è «intestardito» — come racconta un autorevole dirigente dem — nel voler inserire tra i finanziamenti la controversa Fondazione per la cyber sicurezza, che al Nazareno guardano con ostilità, perché ritenuta una sorta di «struttura parallela dei servizi». Il ministro per gli Affari europei Amendola si è trovato in mezzo a questo braccio di ferro, finché — stanco di mediare — all’ennesima telefonata di protesta proveniente dal Pd, ha risposto: «Vorrà dire che gli boccerete questa Fondazione quando arriverà in Parlamento».
Il problema politico, per i democratici, è che si stanno logorandonel silenzioso lavoro diplomatico quotidiano, «mentre Renzi si è impossessato delle nostre parole d’ordine e con quelle sfida Conte»: dal Mes, alle «controproposte» sui progetti del Recovery fund, fino all’autorità delegata dei servizi. «È stato il Pd a dire che serviva un patto di fine legislatura», ricorda il leader di Iv, che con malizia aggiunge: «Ciò che non capisco è come mai, pur di difendere Conte, siano arrivati a minacciare il voto anticipato». Opzione che Renzi ha provveduto a togliere dal tavolo dopo aver parlato con Franceschini e con l’altro uomo forte del Pd, Bettini: «Se qualcuno di voi teme le urne — ha detto ai suoi senatori — chiedete a loro due, così fate prima». Resta l’enigma della «soluzione».
Il ministro della Difesa l’altro giorno — parlando con alcuni esponenti di Base riformista — aveva definito «inevitabile la crisi, visto come si sono messe le cose». Conte non aveva ancora tenuto la sua conferenza stampa, e Guerini era parso ottimista sull’esito della trattativa: «Si potrebbe chiudere presto con una nuova squadra di governo». Chissà se ora ha cambiato idea. Perché ora lo scenario appare diverso. Nell’ipotesi che Conte decida di non sfidare Iv con un voto in Parlamento e preferisca invece limitarsi a un discorso prima di salire al Colle per rassegnare le dimissioni, il capo dello Stato potrebbe assegnargli un altro incarico. Ma Franceschini, che conosce Renzi come le sue tasche, già prevede che il suo ex compagno di partito metterà il veto sul nome di Conte. Se così fosse, per «Giuseppi» sarebbe «game over». È ovvio che il premier stia studiando le contromosse, così com’è ovvio che il leader di Iv voglia tenere ancora coperte delle carte, certi rapporti con esponenti dell’opposizione su un’ipotesi di governo di unità nazionale, «che viene visto come la fine della politica mentre invece le offrirebbe l’opportunità di un nuovo inizio».
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