Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 2 gennaio: 11.831 nuovi casi e 364 morti

di Paola Caruso

Coronavirus in Italia, il bollettino di oggi 2 gennaio: 11.831 nuovi casi e 364 morti

In Italia, dall’inizio dell’epidemia di coronavirus, almeno 2.141.201 persone (compresi guariti e morti) hanno contratto il virus Sars-CoV-2: i nuovi casi sono 11.831*, +0,6% rispetto al giorno prima (ieri erano +22.211), mentre i decessi odierni sono 364, +0,5% (ieri erano +462), per un totale di 74.985 vittime da febbraio. Le persone guarite o dimesse sono 1.489.154 complessivamente: 9.166 quelle uscite oggi dall’incubo Covid, +0,6% (ieri erano +16.877). E gli attuali positivi — i soggetti che adesso hanno il virus — risultano essere in totale 577.062, pari a +2.295 rispetto a ieri, +0,4% (ieri erano +4.871). Gli attuali positivi oggi sono in crescita perché i nuovi casi sono più della somma di guariti e decessi.

I cittadini vaccinati sono oltre 46 mila, per la precisione 46.506 secondo i dati forniti il 2 gennaio alle ore 17, come indica il «Report vaccini anti Covid-19» in costante aggiornamento sul sito del governo e consultabile qui.

I tamponi sono stati 67.174, ovvero 90.350 in meno rispetto a ieri quando erano stati 157.524. Mentre il tasso di positività è 17,6% (l’approssimazione di 17,612%): vuol dire che su 100 tamponi eseguiti più di 17 sono risultati positivi; ieri era 14,1%. Qui la mappa del contagio in Italia.

Meno contagi in 24 ore rispetto a ieri, a fronte di molti meno tamponi. I nuovi casi sono sotto quota 20 mila dopo due giorni al di sopra questa soglia (31/12 e 1/1), ma l’incidenza non permette di riattivare il contact tracing. Lo scenario generale non sembra migliorare: il rapporto di casi su tamponi (il tasso di positività) è in crescita per il terzo giorno di fila e passa dal 14,1% di ieri al 17,6% di oggi. Per vedere un tasso simile bisogna andare indietro al 15 novembre (era 17,4%) o al 16 novembre (17,9%), pochi giorni dopo il record di casi (oltre 40 mila il 13 novembre). Abbiamo già notato che quando si fanno meno test questa percentuale tende a salire: il fenomeno probabilmente dipende dal fatto che quando si processano meno analisi si tende a cercare in modo più mirato, testando persone che hanno più probabilità di essere positive, come quelle con sintomi o quelle in prossimità di un focolaio.

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