Conte sul governo: «Pronto a rafforzare la mia squadra. Sì a un rimpasto, no ad altre operazioni»
Il problema è che il premier teme trappole e incidenti di percorso, l’idea del Conte ter non lo lascia per nulla tranquillo ed è anche convinto che gli italiani, stremati da undici mesi di restrizioni, farebbero fatica a comprendere un simile passaggio. Anche per questo il premier prende tempo, aspetta a fissare il Consiglio dei ministri sul Recovery e si mostra determinato a «trovare la quadra» nel merito delle questioni. La prima contromossa è la sintesi politica sulla nuova bozza del Recovery, in cui Conte, di concerto con i ministri Gualtieri e Amendola, si è sforzato di recepire il più possibile le proposte e le critiche dei renziani e del Pd.
«Io lavoro per ricucire», è il mantra del premier, che al tempo stesso non vuole mostrare alcun cedimento nei confronti di Renzi. È in questo spazio strettissimo che si muovono i mediatori, Bettini, Spadafora e anche Di Maio. Si tratta, si litiga, si spostano i pedoni sulla scacchiera del toto-ministri, ma è stallo, perché Renzi dovrebbe chiedere apertamente il Conte ter e il premier dovrebbe arrendersi e siglare il patto. Il tentativo è evitare l’apertura di una crisi, che potrebbe finire nelle urne. Come spiega preoccupato un ministro dem «la maionese può impazzire e, se non si sta attenti, anche senza volerlo si può scivolare verso il voto». Uno scenario che Conte, a sentire i suoi collaboratori, non teme affatto, anzi quasi lo affascina l’idea di potersi cimentare con una sua lista elettorale, o ritrovarsi alla guida dei 5 stelle. Ma per quanto anche i democratici ostentino una gran fretta di andare a votare, la verità è che il voto fa paura a tutti. Tanto più che riforma del M5S ha ridotto gli scranni e tantissimi deputati e senatori non tornerebbero in Parlamento. Un ministro sconfortato la mette così: «La posta vera della partita di Renzi è la consegna del governo, del Parlamento e dei 209 miliardi del Recovery alla destra di Salvini e Meloni, che si potrà eleggere il capo dello Stato e cambiare la Carta costituzionale».
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