Il caos istruzione/ Le incertezze del governo e i giovani disorientati
Quando, in febbraio, scoppiò la pandemia, omissioni e incongruenze furono più o meno giustificate, perché nessuno di noi immaginava una simile catastrofe. Ma quando in primavera l’intero Paese fu chiuso per bloccare i contagi, le prospettive erano chiare. A parte le esilaranti manifestazioni di ottimismo – che saremmo diventati più buoni, che dovevamo trasformare la disgrazia in opportunità ecc. ecc. – si capì perfettamente che gli studenti avrebbero costituito la massima fonte di contagio, sia per la loro naturale vivacità sia per la difficoltà dei controlli. E qui la dissennatezza divenne colpa. Infatti, mentre nelle aule esisteva una pur minima disciplina che avrebbe imposto il distanziamento, la protezione e l’igiene, il problema vero consisteva nei trasporti, dove gli studenti si sarebbero ammucchiati senza remore né sorveglianza. L’unica soluzione, per garantire lo svolgimento delle lezioni e un minimo di sicurezza era programmare in anticipo, con lungimiranza organizzativa e finanze adeguate, un sistema integrato, coinvolgendo ad esempio quei settori privati che soffrivano di sviamento di clientela. Parigi, nel 1914, fu salvata dai tassisti, che trasportarono ogni giorno al fronte migliaia di uomini per fronteggiare sulla Marna l’avanzata tedesca. Un secolo dopo, il nostro governo si è baloccato con i banchi a rotelle, lasciando alle Regioni, che non avevano né gli strumenti normativi né le risorse finanziarie per provvedere, il compito di arrangiarsi. Da lì, un continuo andirivieni di proposte formulate e subito rimangiate e poi, daccapo, riprese. Che oggi lasciano agli studenti un patrimonio di confusione.
E questo è l’aspetto più grave. Perché questa indecisione non ha solo effetti sui programmi scolastici che potranno, sia pur con fatica, esser recuperati. Ha effetti sulla fragile psicologia degli adolescenti, che hanno bisogno di punti fermi e di orizzonti definiti. Questi ragazzi, nonostante le apparenti turbolenze dell’età, sono i primi a soffrire della mancanza di idee. Anche quando, come nelle rivolte sessantottine, si ribellavano all’ordine costituito, lo facevano sognandone uno nuovo, per quanto perverso, caricaturale e magari violento. Abbandonarono i grembiuli, ma li sostituirono con l’eskimo. Bruciarono le antologie, ma si intrupparono dietro lo stupido libretto di Mao. Derisero i professori, ma si affidarono ai cattivi maestri. Il diciottenne, salvo rare eccezioni, non è un lupo solitario. Vuole fidarsi di qualcuno, e magari affidarsi a lui.
Può allora fidarsi di un governo che lo ha gettato nella confusione più totale? Può credere nelle istituzioni quando da queste ha ricevuto soltanto prediche regolarmente smentite subito dopo la loro solenne edittazione? No che non può. E di conseguenza, assieme alla fiducia, rischia di perdere anche quel residuo di disciplina che nasce solo dalla convinzione di uno scopo condiviso. Uno scopo che il governo non riesce nemmeno più a elaborare, tra promesse ondivaghe e reiterati rinvii. Che, come è noto, sono, assieme all’indecisione, i genitori del fallimento.
IL MESSAGGERO
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