Crisi in stallo, a Renzi il rimpasto non serve. La tentazione del Pd: elezioni anticipate

di PIERFRANCESCO DE ROBERTIS

Siamo all’ultima mano di una partita di poker, quella in cui i giocatori seduti intorno al tavolo si guardano e cercano di capire se gli altri stanno bluffando. Non contano le carte che hai in mano, conta capire quelle che ha l’altro. Non conta saper giocare, conta saper fingere.

Ecco, la crisi di governo in tempo di pandemia, con gli altri partner europei che si accartocciano nei loro lockdown e con il paese che avrebbe anche poca voglia di sentire i propri governanti prendersi a mazzate è ormai tutta qui. Entro tre o quattro giorni arriveremo all’esito finale, che appare tutt’altro che scritto. Due giorni fa il Conte ter pareva ormai accettato da tutti, e già era ricominciato l’inevitabile totoministri, ieri è saltato tutto di nuovo per aria. Oddio, c’è stato questo innegabile tentativo di ricomporre la crisi, peraltro mai dichiarata ufficialmente, ma tutti si sono resi conto che per una qualsivoglia soluzione manca il requisito minimo della fiducia reciproca. Nessuno si fida ormai più di nessuno, ed è chiaro che in questo modo la situazione non si sblocca.

Divieti, chiusure, incertezza, nessun aiuto. L’Italia affonda nel pantano della pandemia

La novità dell’ultimo momento è che il Pd sta seriamente considerando la possibilità di andare al voto. Di questo hanno parlato tra loro Zingaretti, Orlando, Bettini, pare, e non nei termini delle solite minacce che si agitano in questi casi per far paura all’avversario. Che sia una mossa per vedere le carte di Renzi o meno, i dem di osservanza zingarettiana stanno facendo i propri calcoli che sono quelli di poter ridisegnare i gruppi parlamentari a propria immagine e somiglianza (quelli attuali furono scelti da Renzi, che come si ricorderà concesse poco agli avversari interni dell’epoca), di prendersi un po’ di seggi dei Cinquestelle e di eliminare una volta per tutte Renzi. Se poi il Paese finirà al centrodestra e con lui il Quirinale, si starà a vedere. Il punto è che non esiste un Pd, ma molti Pd, tutti legati al carro degli interessi del proprio capobastone, che ha disegni e interessi non coincidenti con quello dei compagni di partito. Ma molti dirigenti democratici sono coscienti che l’iniziativa politica fin qui è stata colpevolmente lasciata in mano a Renzi, che ha sollevato temi obiettivamente ineccepibili facendo in sostanza quello che avrebbe dovuto fare il Pd stesso, e si sente quindi in qualche modo obbligato a respingere l’offensiva dell’ex segretario.

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