I tormenti di Giuseppe Conte per la crisi di governo: «Per vincere basta un voto in più»
È il giorno della grande paura, dei numeri che non tornano, di Giuseppe Conte costretto a interrogarsi in corsa sulla validità della sua strategia. Svanito (per ora) il soccorso degli ex democristiani dell’Udc guidati da Lorenzo Cesa, e quindi l’ancoraggio al Ppe del «progetto politico» che il premier va offrendo ai «costruttori», a Palazzo Chigi si ragiona, pallottoliere (impazzito) alla mano.
E se la «conta» di martedì nell’aula del Senato andasse a finir male, come accadde a Romano Prodi? Se i collaboratori del presidente avessero sbagliato i calcoli? Dubbi, tormenti innescati anche dalle dichiarazioni che arrivano dal Pd. Conte si è affidato a Zingaretti e Franceschini e si è convinto che saranno leali, ma è comprensibile che sia allarmato per le dichiarazioni di alcuni dirigenti dem, secondo i quali incassare la fiducia non basta: un governo retto dai «costruttori» sarebbe troppo debole per affrontare la terza ondata di Covid e gestire il «tesoro» del Recovery.
Matteo Renzi, come alcuni dem di peso, ha fissato molto in alto l’asticella della vittoria: 161 voti, non uno di meno.
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