Per fortuna c’è la zona dell’amicizia
di MICHELE BRAMBILLA
In questo ormai lungo periodo di simpatiche notizie, in
questo tempo di cui vorremmo vedere presto la fine, c’è qualcosa che
aiuta la nostra resistenza (e ripeto “resistenza”, per non usare
l’orribile “resilienza”, termine fino a qualche mese fa sconosciuto a
tutti e ora di gran moda, e pronunciato per definire ogni cosa, dai
piani economici pluriennali alla capacità di trattenere la pipì: ma
lasciamo perdere). Questo qualcosa che ci aiuta a resistere è
un’esigenza irrinunciabile per ogni essere umano: l’amicizia. Un amico è
irrinunciabile sempre, ma ancor di più nei momenti bui, e questo è un
momento buio.
Tanto più che i lockdown, le zone gialle rosse e
arancioni, i distanziamenti e i coprifuoco non aiutano a vedersi. C’è il
mondo dei social, certo: ma tanto fa. Bisogna vedersi, guardarsi in
faccia: bisogna sentire una presenza. E non è facile, di questi tempi.
Sono poi chiusi tutti gli abituali luoghi di incontro: i bar, i
ristoranti, i cinema, i teatri, gli stadi.
C’è una coppia di amici che mi ospita nelle mie altrimenti solitarie serate. Con tutte le precauzioni del caso, con tutto il rispetto delle regole, chiamano la sera a casa sempre o quasi qualcuno, per non arrendersi alla segregazione imposta per legge, o per pandemia fa lo stesso; invitano di volta in volta un paio di amici per impedire che ciascuno di noi sia chiuso nei propri pensieri, perché poi non è che ci siano solo le crisi di governo e i contagi, a rendere buio un periodo. Ciascuno di noi ha qualche pensiero. E poterlo confidare a un amico non lo cancella: ma ci fa sentire meno soli, ci fa sentire tutti parte di un qualcosa che si tiene, ci dà ogni tanto sollievo e ogni tanto speranza. Per questo ho detto alla coppia di amici che le loro cene quasi clandestine sono una resistenza.
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