Crisi di governo, l’ora del giudizio: al Senato Conte punta a quota 157
ROMA — È arrivato il momento della verità. Lunedì alla Camera, alle 12, e martedì al Senato, Giuseppe Conte si rivolgerà al Paese e ai parlamentari, cercherà per quanto possibile di ignorare Matteo Renzi, e affronterà probabilmente il momento più difficile della sua carriera politica. I numeri sono ancora ballerini, almeno quelli del Senato. Se lunedì la fiducia alla Camera è garantita, martedì a Palazzo Madama può succedere di tutto, visto che la maggioranza viene data oscillante, al momento fra 151 e 157 voti, a seconda delle scelte dei singoli e delle trattative delle ultime ore.
Sia il Pd che i Cinque Stelle continuano a fare muro contro i renziani, all’insegna del «mai più» con un soggetto politico considerato «inaffidabile e irresponsabile». Ma nel frattempo si ripetono gli appelli ai cosidetti responsabili del Senato che possono ancora condizionare il futuro politico dell’esecutivo.
Due senatori dell’Udc sarebbero in bilico, così come due esponenti di Italia viva.
Anche Nicola Zingaretti si è rivolto alle «forze democratiche, liberali e europeiste», chiedendo unità «per salvare il Paese». Ma in questo momento l’unica certezza è quella di una maggioranza relativa, al Senato, non si sa quanto solida, e in qualche modo favorita, anche se appare un paradosso, dall’astensione dei renziani.
«Tutti gli scenari sono aperti», ammette con franchezza il ministro Peppe Provenzano. Anche se Italia Viva continua a perdere pezzi, sia pure soltanto alla Camera: dopo Vito De Filippo Michela Rostan oggi voterà la fiducia. Ma al Senato per il momento il gruppo di Italia Viva continua a rivendicare compattezza. I numeri certi a Palazzo Madama, a quanto emerge anche dopo un vertice di maggioranza con il ministro D’Incà e i capigruppo, parlano di 151 senatori. Ma fra senatori a vita, incerti dell’Udc e di Italia Viva si potrebbe arrivare anche a quota 157, addirittura 158. «Il mio obiettivo non è mai stato cacciare Conte ma non sarò compartecipe di disegni mediocri, voteremo le misure che servono al Paese ma non siamo in maggioranza. Se non ha 161 voti al Senato è un arrocco quello di Conte. E ho fatto solo quello che il Pd non ha avuto il coraggio di fare, pur condividendo in privato la mia posizione», sostiene Renzi.
Ma per il Pd e M5S la colpa della crisi porta solo il nome dell’ex premier. «Una cosa è rilanciare — attacca Nicola Zingaretti — un’altra è distruggere. Se non si rispettano le opinioni degli altri, avendo la presunzione di tenere in considerazione solo le proprie, allora viene meno la possibilità di lavorare insieme». Il Pd in direzione dà il via libera al passaggio parlamentare di Conte, «è un dovere e non un diritto chiedere la fiducia», precisa il leader dem. E si aggiorna a dopo il passaggio al Senato per capire i passi successivi. «Non lasceremo mai gli italiani nelle mani di persone irresponsabili», è l’impegno di Luigi Di Maio mentre il M5S ripete ancora una volta per voce di Vito Crimi, Alfonso Bonafede e dei capigruppo, che «Renzi ha fatto una scelta molto grave che ha separato definitivamente le nostre strade».
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