L’anomalia italiana. Così il premier rottama del tutto l’idea di partito

di RAFFAELE MARMO

La democrazia italiana, nelle sue molteplici stagioni, ha avuto avuto il suo asse portante nei partiti. E anche nella ormai lunga fase della cosiddetta Seconda Repubblica la rappresentanza politica è passata attraverso formule personalistiche discutibili – i partiti personali – che però hanno avuto, comunque sia, la forma del partito o del movimento e, soprattutto, il battesimo del fuoco elettorale. L’idea-tentazione che sta prendendo quota in queste convulse giornate, tra Palazzo Chigi e altri ambienti di riferimento del premier, è, invece, quella di un’aggregazione parlamentare direttamente a sostegno di Giuseppe Conte.

Insomma, ci troviamo di fronte a qualcosa di inedito che va oggettivamente oltre gli stessi partiti personali e che pone più di un interrogativo: il gruppo parlamentare ispirato da Conte quanto avrebbe ancora a che fare con l’idea di una democrazia fondata sui partiti?

La domanda non appaia peregrina, perché i segnali quantomeno di un superamento (per non dire fastidio) dei partiti si sono moltiplicati durante l’esperienza di questo governo. Il massimo che il presidente del Consiglio ha concesso alla politica rappresentativa è stata la riunione dei capi-delegazione (che sono suoi ministri e dunque da lui coordinati): i vertici dei leader delle forze politiche di maggioranza sono stati praticamente azzerati o vissuti con evidente contrarietà.

Ma neanche con Silvio Berlusconi, un signore che ha vinto di suo più di un’elezione, si è arrivati mai a un tale livello di antipatia per lo strumento-chiave della democrazia rappresentativa. A quale altra logica, del resto, risponde l’idea della gestione piramidale del Recovery Plan (con il comitato ministeriale e la task force manageriale) se non a quella di sottrarla alla direzione strategica delle forze politiche di maggioranza?

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