Crisi di governo, Conte tiene liberi i posti per i centristi. La linea: oggi al Senato avanti anche sotto 155

Al momento le poltrone scarseggiano e i simboli anche. Conte aveva chiamato Riccardo Nencini, che detiene quello del Psi, ma a meno di colpi di scena il socialista amico di Renzi si asterrà. Ai cattolici Conte offre la «riforma epocale» dell’assegno unico per i figli e prova a sedurre i moderati di Forza Italia con un sistema elettorale proporzionale, che potrebbe scardinare l’alleanza di centrodestra e separare Berlusconi da Salvini e Meloni. Ma intanto il ministero dell’Agricoltura non è bastato a convincere Lorenzo Cesa, a cui rispondono tre preziosi senatori Udc. «Saccone, De Poli e Binetti vogliono venire — assicura un ministro —. Ma Casini per ora li ha stoppati, per conto di Renzi».

Tra i 5 Stelle in allarme molti temono che Conte si sia infilato in un «vicolo cieco», ma il risultato inatteso della Camera ha riaperto i giochi. I conti di Dario Franceschini, cui si deve la strategia di andare alla prova dell’aula pur di non infilarsi in una crisi al buio, ondeggiano dai 152 ai 157 voti. Quanto basta per tenere in piedi il governo. «Per quanto debole sarebbe nella pienezza dei poteri», sospirava il premier aspettando il verdetto della fiducia alla Camera. Conte ci è arrivato esausto, dopo aver limato il discorso fino alle 4 del mattino. La stanchezza si è sentita nella replica: non voleva farla, poi Franceschini lo ha convinto a «non mancare di riguardo ai deputati». Ed è su pressione del Pd che il «Giuseppi» caro a Trump ha affermato di guardare «con grande speranza alla presidenza Biden».

Al Senato alle 9.30 di oggi Conte entra a «testa alta», poco incline a riconoscere errori e incertezze. Dicono che «farà un discorso più snello e più pop» e il pensiero corre al 20 agosto 2019, quando l’avvocato «processò» il Salvini del Papeete. Ma se gli accenti non scadranno sul personale, Conte non farà sconti a Renzi. Ieri non si è curato di nominarlo, ha chiamato come testimoni i «cari cittadini» e denunciato la «ferita profonda» che Italia viva ha inferto alla coalizione e al Paese. Rimarginarla non è possibile, non per Conte. Il dilemma è se Renzi con i suoi senatori sarà ancora determinante, al punto da tirare giù il governo.

La porta è «strettissima», ha ammonito Zingaretti, eppure il giurista pugliese non cambia i suoi piani. Dimettersi sotto quota 155? Conte lo esclude. Spera di agguantare la fiducia con 3, 4 voti in meno dei 161 della maggioranza assoluta e poi, col tempo, di costruire «un progetto politico articolato e preciso, a forte vocazione europeista». Ma quanto può durare, un governo appeso a «costruttori» singoli? Per il Pd l’operazione è «molto complicata». Anche perché il premier non ha concesso spazi al Conte ter. «Non è il momento, pensiamo a superare questa fase», ripete nei colloqui privati.

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