Crisi di governo, al voto di fiducia in Senato la maggioranza spera di superare quota 155
ROMA — Giuseppe Conte ce l’ha messa tutta alla Camera, ha fatto un appello a tutti i gruppi, ha chiesto esplicitamente ai «singoli parlamentari», è arrivato fino a scandire un «aiutateci», che non è esattamente un segnale di forza, e ha citato tra le sensibilità che vorrebbe attrarre quelle «europeiste, socialiste, liberali e popolari», con chiaro riferimento ai liberali di Forza Italia e Cambiamo, ai socialisti di Riccardo Nencini, all’Udc di Lorenza Cesa. Per capire se l’appello — ma soprattutto le più convincenti telefonate a tu per tu — hanno fatto presa, bisognerà aspettare fino a oggi, quando il premier arriverà a Palazzo Madama e dopo avere incassato la maggioranza assoluta alla Camera, proverà a cavarsela anche al Senato, dove i numeri sono più complicati. Le cifre più accreditate davano la maggioranza in una forbice che oscilla tra 152 e 159 voti. Sopra i 155, dicevano fonti della maggioranza, sarebbe una vittoria.
Le previsioni
Diversi senatori ieri erano ancora indecisi, sottoposti a pressioni convergenti per evitare che la prova di forza al Senato si risolva in un bagno di sangue per il governo. Non ci sarebbe un pericolo immediato, perché è vero che la soglia dei 161 — maggioranza assoluta — è quasi irraggiungibile, ma è vero che per ora non è necessaria e che nella storia della Repubblica ci sono stati 12 governi che non la raggiungevano, a partire da quello di Alcide De Gasperi del 1947. Un dirigente del Pd si dice moderatamente ottimista: «La vicenda dei numeri è depotenziata. È chiaro che non sposta granché avere 153 o 158 voti. Più avanti, poi, si dovrà cercare di rafforzare davvero la maggioranza». Il pallottoliere di Palazzo Chigi ieri era a 156. Per consolidare il governo occorrerà aspettare qualche settimana per il rimpasto atteso (i due posti da ministro e da sottosegretario lasciati da Italia viva).
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