Crisi di governo, Conte allarmato dai tanti «ni»: «Non offro posti». Ma sta lavorando al maxi-rimpasto
ROMA Quando è sceso dal Colle più alto, Giuseppe Conte non aveva un’espressione allegra. C’è la stanchezza di giorni ad altissima tensione politica e nervosa e c’è, dentro le stanze di Palazzo Chigi, un’ansia diffusa e crescente che guasta la soddisfazione del pericolo scampato e non consente al presidente del Consiglio di spargere ottimismo. Per dirla con un ministro, «basta un nulla perché possa saltare tutto». Il tempo è poco. Dieci giorni per allargare e poi puntellare con un rimpasto la fragile alleanza giallorossa. Per la sofferta fiducia di martedì sera Conte ha raggranellato 156 voti, nonostante le decine di telefonate partite dal suo cellulare per arruolare in corsa i «costruttori». Per la maggioranza assoluta ne servono 161 e nemmeno bastano, perché Franceschini ha fissato a 170 la vetta per la stabilità. «Uno dopo l’altro arriveranno», su questo Conte si è detto fiducioso. Ma i dubbi sono tanti.
Il problema è come strutturare in una manciata di giorni, con il Covid che morde, il Recovery da consegnare all’Europa e i ristori da ripartire per placare la rabbia sociale, un’alleanza politica che abbia un’anima e un progetto. E che possa contare su un simbolo, destinato a rappresentare la futura «quarta gamba» della coalizione dopo M5S, Pd e Leu. Per rispondere alle aspettative del Quirinale, Conte deve riuscire a creare a Palazzo Madama un gruppo analogo a quello che sta mettendo su a Montecitorio Bruno Tabacci, che è per Conte un solido punto di riferimento nel mondo ex Dc. Ma per ora l’appello europeista e anti-sovranista ai popolari, ai liberali, ai socialisti e ai renziani pentiti ha fatto assai meno proseliti di quelli che l’avvocato si aspettava. Il bersaglio grosso è Forza Italia, che il premier proverà ancora a sedurre con la promessa del proporzionale attraverso Renato Brunetta e Gianni Letta. Ma il pressing più forte Conte lo sta esercitando su Lorenzo Cesa per il simbolo dell’Udc, che vale tre senatori e che potrebbe attrarre «una decina» di transfughi di Forza Italia.
Che l’operazione costruttori fosse ad altissimo rischio Conte lo aveva capito prima di buttarsi in mare aperto, per aver ascoltato i moniti del presidente Mattarella. Eppure, se ha deciso di rischiare il tutto per tutto, è perché pensava che l’onda del consenso, anche parlamentare, lo avrebbe spinto presto e bene a riva.
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