Cesa, l’indagine, un colpo alla trattativa per allargare l’alleanza: le due strade di Conte
ROMA Lorenzo Cesa lo cercavano tutti, ci parlavano tutti e molte volte la telefonata per il leader dell’Udc partiva da Palazzo Chigi. Dove ieri, quando la «bomba» dell’indagine per associazione a delinquere è esplosa e le schegge hanno cominciato a rimbalzare sul web, l’ansia del premier è diventata paura. «I numeri al Senato sono preoccupanti», si era sentito dire al mattino il premier nella prima videconferenza con i capigruppo.Conte ha ostentato sicurezza, ha detto «abbiamo la maggioranza assoluta alla Camera e la maggioranza relativa al Senato e tutto il tempo per rafforzarci». Ma Luigi Di Maio, che pure in questi giorni sostiene pubblicamente Conte, non aveva ancora stoppato il «dialogo con soggetti indagati per mafia» e quindi il tentativo di attirare l’Udc in maggioranza.
E non è solo Cesa il problema. Gli aspiranti «costruttori», centristi, azzurri o renziani che siano, si affacciano e si ritraggono, perché la scialuppa dell’avvocato non appare abbastanza solida da traghettarli a fine legislatura. E poiché il rischio di non farcela si fa sempre più concreto, Conte torna ad accarezzare la suggestione del voto anticipato. Raccontano che «la voglia di elezioni in lui è fortissima». L’avvocato guarda ai sondaggi gonfi del suo personale consenso e vede le urne come l’unica via di fuga, nel caso il suo fragilissimo governo dovesse cadere. Dal Nazareno è ripartito il pressing per convincerlo a imboccare la stretta via del Conte ter: presentarsi al Colle da dimissionario, con la lista dei ministri in tasca e sperare che Mattarella gli affidi un incarico esplorativo. Ma se tanti dem pensano che l’unica strada sia ricucire con Renzi, lui resiste. E continua la caccia ai volenterosi.
Il primo burrone è mercoledì, con il voto alla relazione di Bonafede sulla giustizia. Renzi e i suoi senatori voteranno contro e dunque il centrodestra è in vantaggio. L’unica speranza per Conte è agguantare in tempo qualche renziano pentito, che decida di andare in suo soccorso. Ma se il governo va sotto, per il premier sarà difficile arroccarsi. Anche i dem potrebbero pressarlo perché salga al Quirinale. L’avviso ai naviganti (e al timoniere) lo ha chiuso in bottiglia Goffredo Bettini. Il nocchiero del Nazareno ha indicato la rotta: se riesce ad allargare la maggioranza «si farà un Conte ter», quella crisi pilotata a cui aspirano diversi dirigenti dem per rinforzare la squadra. Altrimenti, poiché il Pd non farà mai un governo con i sovranisti, si andrà a votare.
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