Conte, elezioni più vicine: governo a rischio con il voto del 27 su Bonafede

Tajani: «Governo di unità nazionale? L’ipotesi non esiste. Non prevedo altre fughe da FI»


Non è un caso che Bettini faccia il nome del partito di Silvio Berlusconi e di Renzi. E da questi due serbatoi che Conte spera nei prossimi giorni di pescare la «squadra di volenterosi» con cui creare un nuovo gruppo parlamentare. L’ormai famosa (e per ora ipotetica) quarta gamba della coalizione rosso-gialla.

Tra i renziani i possibili «volenterosi» potrebbero essere Leonardo Grimani, Annamaria Parente, Nadia Ginetti, Mauro Marino. Tra i forzisti, dopo gli addii di Andrea Causin e di Maria Rosaria Rossi (che però è in predicato di rientrare), si fanno i nomi di Sandro Biasotti, Barbara Masini, Maria Tiraboschi, Luigi Vitali e Maria Carmela Minuto. Ma quest’ultima si chiama fuori: «Ho votato contro Conte e continuerò a farlo». E Vitali mette a verbale: «Per la mia storia non posso certo sostenere un governo dove Guardasigilli è Bonafede».


Già, la giustizia. Ieri mattina, durante un vertice d’emergenza in vista del voto di mercoledì, i capigruppo rosso-gialli del Senato hanno certificato che «è il tema più divisivo». E che, soprattutto, «su questo terreno è molto difficile riuscire ad agganciare i transfughi di Forza Italia e di Italia Viva». Per questa ragione a palazzo Chigi e tra i leader della maggioranza si sta ragionando su un rinvio della votazione da dentro o fuori. Il momento della verità sarà martedì, quando si riunirà la conferenza dei capigruppo di palazzo Madama. Sarà quella la sede in cui il governo chiederà lo slittamento se nel frattempo non si sarà rafforzato. «Però, in ogni caso, sarà poi l’Aula a decidere…».


E qui, come si sa, sono dolori. «Anche perché», dice un presidente di gruppo, «se siamo arrivati mercoledì scorso a 156 voti è solo grazie ai senatori a vita ed è difficile immaginare che Liliana Segre a novant’anni venga anche la prossima settimana a votare…». Insomma, sulla giustizia «è molto probabile finire battuti. E ciò che accade nell’Udc non aiuta…».

Il caso Cesa

I centristi, appunto. Dovevano arrivare dall’Udc tre voti, quelli di Paola Binetti, Antonio Saccone e Antonio De Poli. Ma il segretario Lorenzo Cesa è finito indagato proprio ieri per associazione a delinquere in un’inchiesta sull’ndrangheta. Così, di riflesso, i 5Stelle hanno alzato il disco rosso. «Lavoriamo per consolidare il governo, ma questo non può avvenire a scapito della questione morale», tuona Luigi Di Maio che prova a sedare la rivolta dei parlamentari grillini, allarmati per l’«abbraccio mortale» con l’Udc e in una riunione ristretta avrebbe discusso dei preparativi per eventuali elezioni. Un’alzata di scudi che spinge De Poli ad annunciare: «Restiamo tutti nel centrodestra». Si vedrà: la cattolica Binetti è molto attratta dal ministero della Famiglia che Conte è pronto a offrirle. E molti scommettono che l’implosione dell’Udc possa spingere anche Saccone a entrare in maggioranza.


Conte ter o rimpastone?


Se a Conte riuscirà l’operazione «rafforzamento» si aprirà poi un’altra partita. Il Pd continua a chiedere le dimissioni del premier, una nuova squadra di governo e il Conte-ter. Il capo dell’esecutivo, invece, teme il «salto nel buio» e non intende essere ridimensionato oltremisura. Perciò vorrebbe limitarsi a un rimpastone. Ai dem, come dimostrano le parole della vicepresidente Debora Serracchiani, questo però non basterà: «Serve più condivisione, una maggiore capacità di prendere le decisioni per tempo: Conte ha la tendenza ad accentrare troppo nelle proprie mani i dossier». Proprio ieri notte il premier ha però dato il primo segnale di disponibilità alle richieste del Pd: ha convocato, a sorpresa, alle dieci di sera un Consiglio dei ministri. E ha passato la delega ai Servizi all’ambasciatore Benassi, nominato sottosegretario alla Presidenza.

IL MESSAGGERO

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