Nicola Gratteri, il magistrato che piace a destra e sinistra ma non sempre ai giudici

Se c’è una costante nella vita del noto magistrato anti-’ndrangheta è quella dei grandi numeri. Delle centinaia di arresti in una notte. Delle maxi-operazioni da prima pagina. Non sempre però, le tesi dell’accusa firmata Gratteri hanno trovato al 100% accoglimento nel processo che è seguito alle indagini. 

Tante le inchieste condotte. La prima di grandi proporzioni è datata 2003. Il nome era Marine. Era notte a Platì, comune dell’Aspromonte, quando mille uomini delle forze dell’ordine arrivarono ad arrestare 125 persone, tra cui politici e notabili del posto. Le accuse erano gravi: associazione per delinquere di stampo mafioso, voto di scambio, abuso in atti d’ufficio, falso, estorsione. Ma come finì poi il processo? Otto condanne con il rito abbreviato e 19 posizioni prescritte. Perché in appello l’associazione di stampo mafioso è diventata associazione semplice. Non siamo in grado di ricostruire con dovizia di particolari i singoli passaggi, ma la differenza tra il numero degli arrestati e quello dei condannati con può che balzare all’occhio.

Passa qualche anno, nel 2008 è la volta dell’operazione SolareIn collaborazione con l’Fbi vengono arrestate più di 200 persone: “Scoperta struttura internazionale dedita al traffico di cocaina tra Sud America, Nord America e Europa”, è il sommario del Corriere della Sera del tempo. Il filone continua e si arricchisce di altre operazioni. Risultato: 23 condanne per un totale di 252 anni di carcere. In appello varie pene furono ridotte. 

Nel 2010 Gratteri era ancora alla dda di Reggio Calabria quando questi uffici collaborarono con gli omologhi di Milano, per portare a termine un’operazione che condusse a 304 arresti tra Calabria e Lombardia, con l’impiego di migliaia di uomini delle forze dell’ordine. In questo caso l’impianto accusatorio della procura fu sostanzialmente validato. La Cassazione, nel 2014 e nel 2015 ha confermato più di 80, su 92, condanne di imputati che avevano scelto il rito abbreviato e tutte e 41 le condanne inflitte in Appello durante il rito ordinario.

Nel 2015, l’anno prima dell’approdo a Catanzaro, Gratteri conduce da procuratore aggiunto l’inchiesta Columbus sul narcotraffico tra Calabria e l’America. Il primo grado si conclude con cinque condanne e due assoluzioni.

Nel 2018 è la volta dell’operazione Stige, contro il clan di Cirò Marina. 169 gli arresti. Il processo ancora non è finito, ma per ora con il rito abbreviato sono state condannate 66 persone. 38 gli assolti. 

Ed è dei primi giorni del 2021 la notizia dell’assoluzione, in primo grado, di Mario Oliverio. Imputato per corruzione e abuso d’ufficio dalla procura guidata da Gratteri, l’ex presidente della regione Calabria è stato scagionato “perché il fatto non sussiste”. Nei suoi confronti, sempre a Catanzaro, ci sono altre due inchieste. Ma l’assoluzione con formula piena fa rumore, anche alla luce delle conseguenze che quell’inchiesta ha avuto sulla sua carriera politica.

La vera partita della vita di Nicola Gratteri si sta giocando però in queste settimane. Il 13 gennaio è partito a Lamezia Terme – in un’aula bunker costruita ad hoc ed inaugurata alla presenza di Alfonso Bonafede – il processo seguito all’inchiesta Rinascita-Scott. Quella che lui stesso ha definito “numericamente la seconda più importante dopo il maxi-processo di Palermo”. E, anche qui, i numeri sono notevoli: 325 indagati, 438 capi d’accusa. Ai giudici del dibattimento il compito di capire se le ipotesi di reato saranno o no da confermare.

Intanto, sui social e su WhatsApp spopola un messaggio:

 “MAXI PROCESSO * IN CALABRIA CONTRO LE MASSOMAFIE, MA L’ITALIA NON LO SA
Mentre tutta Italia parla da giorni di un’autentico citrullo (errore grammaticale riportato testualmente, ndr), inutile e dannoso per il paese, in Calabria, tra misure di sicurezza eccezionali e giornalisti da ogni parte del globo, è in corso il processo più imponente degli ultimi 30 anni. (…) La cosa sconcertante che nessun Telegiornale, nessun giornale, nessun politico di ogni colore, abbia speso una sola parola di sostegno su questo straordinario uomo che da solo sta sfidando la ndrangheta. Diamogli noi la visibilità che merita.

Con tanto di hashtag #grandenicolagratteri e #iostocongratteri. Un chiaro esempio della grande popolarità del magistrato ma anche, forse, di una visione singolare che una parte dell’opinione pubblica ha dei procedimenti penali. Che – come sta accadendo esattamente in questo caso – si celebrano con i codici in mano, nelle aule dei tribunali. Non in televisione né sui giornali. Né, tantomeno, sui social.

L’HUFFPOST

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