A proposito del debito che carichiamo sul futuro

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di   Ferruccio de Bortoli

Il voto pressoché unanime sullo scostamento di bilancio di 32 miliardi (il quinto) è stato commentato, ancora una volta, come una grande prova di responsabilità delle forze politiche. Quasi la dimostrazione che una grande coalizione, nell’interesse nazionale, sia un’ipotesi percorribile. Certo, non si poteva fare altrimenti. Sono fondi d’emergenza che servono a risarcire le categorie colpite dalle chiusure, finanziare la cassa integrazione e altro. Necessari. In totale, da quando è esplosa la pandemia, si sono approvati interventi anticrisi per 165 miliardi. Non sfugge, però, come sia relativamente facile raccogliere il consenso sulla crescita del deficit e del debito pubblico.

Votare sì non comporta alcun coraggio politico. Non si scontenta nessuno. Colpisce l’insostenibile leggerezza con la quale, nella cultura politica (e non solo) del Paese, ci si indebita. Il vincolo di bilancio non c’è più – come è giusto – ma non per sempre. Nulla è più definitivo in Italia – scriveva Giuseppe Prezzolini – di ciò che è provvisorio. La tradizione sembra confermarsi. Se non fosse così ne discuteremmo con un’intensità almeno pari a quella che anima il dibattito sulla sopravvivenza del Conte 2 o sul destino di «responsabili» e nascenti «cespugli» di centro. Invece no, tutto va via liscio. Come se le risorse fossero inesauribili (allora, perché mai pagare le tasse?).

Un miliardo di euro di deficit, e dunque di debito, pesa politicamente molto meno che in passato. In parte è vero. Ma anche nell’era dei tassi d’interesse negativi – e della Bce che compra i nostri titoli pubblici – non scompare d’incanto. Quando Mario Draghi ha distinto il debito buono da quello cattivo (visto l’andazzo, avrebbe fatto meglio a non farlo) vi è stato un coro unanime di consensi. Finalmente. Ma, in un afflato di ipocrita solidarietà, ci si è ben guardati dal considerare una spesa, un bonus, un aiuto a chi non ne aveva bisogno, come qualcosa di cattivo o soltanto di inopportuno. «Ne arrivano 209 di miliardi, non andiamo tanto per il sottile». Con le morti per il Covid, le attività ferme a rischio di fallimento, i tanti disoccupati, mettersi poi a guardare dove finiscono i soldi è antipatico, insensibile, cinico. E invece no, perché ogni miliardo buttato oggi, è un aiuto in meno a chi ne ha veramente bisogno. Un investimento negato per le prossime generazioni che carichiamo di debiti, impoverendole. «Non sono sicuro di voler fare qualcosa per i posteri, del resto loro che cosa hanno fatto per me?». La frase è di Oscar Wilde. Oggi non fa sorridere. Ogni spreco non è solo debito cattivo, è pessimo. In questa fase drammatica della vita del Paese, anche delittuoso. Che cosa volete che sia – sostiene di fatto la maggioranza dei parlamentari – un risparmio di 300 milioni di euro l’anno in tassi d’interesse, aderendo al famigerato Mes, quando i nostri titoli vanno a ruba (grazie alla Bce, ma non per sempre) sul mercato? E ancora: perché scandalizzarci tanto per i 4,5 miliardi del cosiddetto cashback, che premia, indipendentemente dal reddito, chi spende con la carta di credito?

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