Burocrazia infinita e contratti sbagliati. Vaccini, la campagna Ue è un fiasco

, di LUCA BOLOGNINI

Roma, 28 gennaio 2021 – Come Steven Bradbury. Nella corsa ai vaccini, alla Ue ormai non resta che sperare di emulare la tragicomica impresa del pattinatore australiano che nel 2002 vinse un oro olimpico solo perché tutti gli altri concorrenti erano caduti a pochi metri dal traguardo. Le nuove dosi dei sieri anti Covid nei Paesi dell’Unione europea arrivano col contagocce e la situazione difficilmente migliorerà nei prossimi mesi, visto che i composti in via di approvazione, come dimostra il caso AstraZeneca, sono già stati promessi ad altri Stati. Ma come ha fatto Bruxelles ad accumulare così tanto ritardo? E perché la campagna vaccinale, iniziata nemmeno un mese fa, è già un fiasco?

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Il ritardo nei confronti della Gran Bretagna e l’esempio di Israele

Per quanto riguarda le vaccinazioni, la Ue è molto indietro rispetto a Gran Bretagna e America. La Danimarca, la migliore tra i 27, ha somministrato 3,7 dosi ogni 100 abitanti. Il Regno Unito viaggia al triplo della velocità (è a 10,8) mentre gli Usa al doppio (7,1). L’Italia è ferma a 2,5. La media Ue è di 2. Israele fa segnare un inarrivabile 47,9. Netanyahu ha infatti puntato tutto sul vaccino Pfizer e ha promesso di condividere i dati sugli effetti della riduzione del contagio con la casa farmaceutica, assicurandosi così più dosi di quelle che potrà mai usare.

La burocrazia e i tempi infiniti dell’Ema

Uno dei motivi per cui la Ue si muove come se fosse intrappolata in una moviola permanente è il processo di approvazione dei vaccini. La Fda americana e l’Mhra britannica hanno dato il via libera al siero Pfizer rispettivamente con 10 e 19 giorni d’anticipo rispetto all’Ema. L’America ha dato l’ok a Moderna il 18 dicembre del 2020, mentre Bruxelles e Londra lo hanno fatto il 6 e l’8 gennaio di quest’anno. La Gran Bretagna, tuttavia, ha già autorizzato, il 30 dicembre scorso, il composto di AstraZeneca. Si tratta di poche settimane, che però possono salvare migliaia di vite. Il ritardo rispetto agli americani non è una novità, visto che la Ue, secondo uno studio sui farmaci approvati tra il 2014 e il 2016, per arrivare a una decisione – che è la stessa in oltre il 90% dei casi che viene presa dai colleghi Usa – ci mette circa quattro mesi in più.

Contratti miliardari, ma la Ue ha tergiversato

Il punto dolente di tutta questa vicenda sono gli accordi presi con le case farmaceutiche. I ritardi nelle consegne (presenti e future) dipendono soprattutto da quello che è stato negoziato con Big Pharma e quando. Il caso AstraZeneca è esemplare: il premier inglese Boris Johnson conclude a maggio 2020 un accordo per 100 milioni di dosi. La Commissione Ue firma quattro mesi dopo per 300 milioni di dosi (più 100 opzionali). “Ecco perché – ha spiegato chiaramente il super manager dell’azienda Pascal Soriot in un’intervista a Repubblica – Londra non ha subito ritardi nelle consegne”. Il primo che arriva è il primo a essere servito. L’altro problema? La Commissione Ue – che ha trattato per tutti e 27 – ha comunque scommesso sul cavallo sbagliato (AstraZeneca) e ha ordinato poche dosi nei primi due trimestri del siero Pfizer, il primo ad aver ricevuto il via libera. Bruxelles si difende facendo notare che era impossibile sapere chi avrebbe vinto la corsa e che quindi ha dovuto spalmare gli ordini su diverse case farmaceutiche. Ma non è del tutto vero.

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