I pm, Fini e il governo Monti: così il sistema attaccò il Cav
Un volta disse di essere molto preoccupata che il suo nome potesse essere infangato all’interno dell’inchiesta Mafia capitale, per via di un ingiusto coinvolgimento di un consulente al quale aveva affidato degli incarichi, e che Pignatone l’aveva tranquillizzata scrivendole un biglietto. Ora, è evidente che nel 2010 Giovanni Ferrara probabilmente non ha compiuto una corretta valutazione. Se a causa della fretta o di qualcosa d’altro lo lascio scrivere a lei.
Me ne guardo bene, io penso che in quel momento Fini che si allea con la sinistra fosse funzionale al disegno di indebolimento del governo che il “Sistema” stava perseguendo.
Più che funzionale, credo. Però può scrivere un fatto che nessuno può smentire o contestare, un fatto che di nuovo riguarda l’intreccio tra politica e magistratura e che all’epoca sfuggì ai più. Un anno dopo aver archiviato l’inchiesta, Giovanni Ferrara si dimette da procuratore di Roma con qualche mese di anticipo sulla pensione e viene nominato, in quota Fli di Gianfranco Fini, sottosegretario agli Interni del governo Monti.
Coincidenza sospetta, un indizio che lo strappo di Fini che affossò il centrodestra non fosse tutta farina del suo sacco.
A prescindere dal caso singolo, il potere delle procure a volte è quello di fare un’inchiesta partendo da una velina e di tirarla per le lunghe, altre di non farla pur davanti all’evidenza dei fatti concreti. Soprattutto se la grande stampa – come per coincidenza avvenne nel caso di una casa in mattoni e cemento nel pieno centro di Montecarlo – gira la testa dall’altra parte o minimizza e i partiti di sinistra pure. Si ricordi la regola aurea del tre, le tre armi del “Sistema”, una procura, un giornale amico, un partito che fa da spalla politica. Funziona contro qualcuno ma anche a difesa di qualcuno. Con Berlusconi avviene contro, con Fini e con tanti altri a difesa. E lo ripeto ancora una volta a scanso di equivoci. Io ora non sto discutendo se uno è o meno colpevole, mi riferisco a come, oltre un certo livello, i reati o presunti tali vengono gestiti in base a criteri che con “la giustizia è uguale per tutti” hanno poco a che vedere. Ma non solo con la giustizia, lo stesso vale per l’etica.
IL GIORNALE
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