Unica via d’uscita/ Ogni Stato sia autorizzato a produrre il suo vaccino
Negli ultimi mesi mi sono più volte chiesto se il compito di fare previsioni economiche debba essere trasferito dalla competenza degli economisti a quella dei virologi. Questo non tanto perché si sia aperta una nobile gara a chi sbaglia di più tra le due categorie, ma perché gli andamenti dell’economia, in questa fase storica, dipendono ormai quasi esclusivamente dal comportamento del virus.
Tutto ciò emerge dal confronto dei dati economici tra il terzo e il quarto trimestre dello scorso anno. A una forte ripresa, quando si pensava che il virus fosse sconfitto, è seguita la stagnazione di fine d’anno, quando l’epidemia ha ricominciato il suo corso.
Se il passato è dipeso dall’andamento del virus, non sorprendiamoci
che il futuro dipenderà, come emerge dalla lettura delle ultime
previsioni del Fondo Monetario Internazionale, dalla diffusione del
vaccino. La battaglia per il vaccino è in pieno svolgimento e ogni
Paese, naturalmente, usa le armi che ha a disposizione.
Al vertice della protezione vaccinale non troviamo però uno Stato
produttore ma Israele che, con un’intelligente strategia preventiva, si è
assicurato il vaccino, garantendo alla casa produttrice tutte le
informazioni di cui essa ha bisogno per monitorare i comportamenti e gli
effetti del vaccino stesso.
Una specie di raffinato scambio scientifico fra il vaccino e le cartelle cliniche dei cittadini. Tra i Paesi maggiori la corsa al vaccino è dominata da Stati Uniti e Gran Bretagna, entrambi grandi produttori ed entrambi sempre più orientati a privilegiare il mercato interno.
Data la loro limitata capacità produttiva, ne deriva, per quanto
possibile, la riduzione della fornitura agli altri mercati. Di qui le
complicate controversie con l’Unione Europea che, da un lato ha compiuto
uno straordinario passo in avanti mettendo tutti i 27 Stati membri
nelle stesse condizioni per l’acquisto, ma che, da un punto di vista
produttivo, si trova in una situazione di debolezza. Tutto questo in un
mercato diventato, dopo la seconda ondata della pandemia, un campo di
vera e propria lotta per la supremazia. Non si tratta soltanto di
profitti aziendali dei produttori, ma del primato dei Paesi.
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