La somma delle solitudini di un’epoca travagliata

di Walter Veltroni

La solitudine, la somma delle solitudini sembra il segno di questo tempo. Penso al silenzio impaurito del mondo di fronte alla persecuzione del dissenso in Russia culminata con il tentativo di omicidio di Navalny. Penso alla disperazione, nel gelo dell’inverno bosniaco, delle donne e dei bambini senza casa e nazione che cercano di resistere all’idea che il mondo sia fatto di muri e non di umanità.

Penso al modo in cui la diplomazia ha sorvolato sulla gravissima responsabilità di chi ha ucciso e decapitato un giornalista coraggioso, Jamal Kashoggi, solo perché avversava il regime dell’Arabia Saudita. Penso alla pietra tombale che è stata messa sull’imprigionamento sistematico di intellettuali democratici in Turchia e in altri Paesi. Penso alla vicenda spaventosa di Giulio Regeni o, oggi, a quella di Patrick Zaki. Penso ancora al silenzio che accompagna la battaglia delle donne polacche per garantire una legge che consenta una maternità libera e consapevole.

Silenzio collettivo un tempo impensabile. Per Panagulis e Jan Palach, per Solgenitsyn e per Allende milioni di persone, di destra e di sinistra, si sono mobilitate. Spesso si sono divise nel farlo e hanno sbagliato. La libertà va difesa sempre e chi la minaccia, quale che sia il colore della bandiera che sventola, va combattuto e sconfitto.

Il nostro mondo, rapido e globale, sembra aver ridotto i suoi confini entro quelli della propria nazione. Il sovranismo, anche non dichiarato, si è fatto strada e ha costruito dei muri tanto alti da non farci più vedere e sentire chi soffre e chi lotta per la libertà. La società della Rete si è fatta egoista e il massimo che riesce a fare, di fronte al dolore degli altri, è mettere un cuoricino a un tweet. Sembra, immemori della famosa poesia di Brecht, che nulla ci riguardi, che nulla di ciò che accade prefiguri un nostro possibile destino.

Joe Biden, arrivato alla Casa Bianca dopo l’incredibile eversiva occupazione del Congresso, ha insistito molto nel dire che «La democrazia è fragile». Si fanno infatti strada modelli di «democratura» che saldano la garanzia, resa pura formalità, delle pratiche della democrazia novecentesca con il progressivo, aggressivo accaparramento del potere nelle mani di oligarchie o di singole persone. La democrazia che Fukuyama immaginava avesse, dopo l’ottantanove, segnato la sua piena affermazione sta al contrario rapidamente, e ovunque, scricchiolando.

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