Il Professore rompe gli indugi: “Ma la maggioranza sia ampia”

alessandro barbera

ROMA. Fino all’ultimo nemmeno lui pensava sarebbe andata a finire così. Nemmeno se lo augurava, perché sapeva che la chiamata a Palazzo sarebbe stata l’ennesima sconfitta della politica. Poi le telefonate dal Quirinale, almeno due nelle ultime ore, hanno convinto Mario Draghi a mettere da parte le riserve e ad accettare un incarico per il quale non si è mai sentito tagliato. «Accetto, purché la maggioranza sia sufficientemente ampia», ha detto di recente a chi ha avuto occasione di parlarci. Quanto ampia sarà, al momento non lo sa nemmeno lui.

Romano, classe 1947, figlio di una farmacista e di un dirigente bancario, tre fratelli, orfano di entrambi i genitori poco più che adolescente, Mario Draghi è sempre stato abituato a darsi da fare. Ma se durante una vita intera è stato abituato ad avere il controllo del tempo, dei soldi e della carriera, ora deve affrontare una sfida al buio.

E’ la seconda volta che la Storia gli chiede di risollevare l’Italia dal peggio. La prima fu dieci anni fa, fra agosto e novembre 2011, durante una crisi finanziaria che rischiò di mandare in default i conti pubblici e l’intera eurozona. Allora fu costretto a usare il bastone e la carota. Prima da governatore della Banca d’Italia, firmando la lettera che costrinse Silvio Berlusconi a prendere impegni severissimi con l’Europa, poi da governatore della Banca centrale europea. Fu lui, nel primo giorno utile dopo l’ingresso nel palazzo di Francoforte, ad abbassare i tassi di interesse che Jean Claude Trichet aveva improvvidamente alzato, dando fiato alla speculazione contro i titoli di italiani.

Dieci anni dopo Draghi riempie ancora una volta il vuoto delle istituzioni. Allora a causare il peggio fu lo scontro interno alla maggioranza di centrodestra fra Silvio Berlusconi e il suo ministro del Tesoro Giulio Tremonti. Ora Draghi trova le ceneri della maggioranza Pd-Cinque Stelle, e dello scontro fra Giuseppe Conte e Matteo Renzi. La Storia, nei suoi corsi e ricorsi, sa essere impietosa.

Durante il settennato di Sergio Mattarella Draghi è salito al Quirinale più volte, quasi sempre in veste informale. A volte con l’auto di servizio, a volte con quella della moglie, ma gli è capitato di farlo anche a piedi, per non dare nell’occhio. Il più delle volte il capo dello Stato voleva capire cosa stesse accadendo nel mondo, cosa si dicesse dell’Italia fra gli investitori che ogni giorno comprano e vendono i titoli di debito. Accadde più volte nei mesi difficili di un’altra maggioranza di governo, quella che ha tenuto insieme per qualche mese Lega e Cinque Stelle, con lo spread a lungo stabilmente sopra i trecento punti.

Paradosso vuole che Draghi diventi premier – o almeno così dovrebbe accadere – in condizioni radicalmente diverse, sia di allora, ma soprattutto di dieci anni fa. Nel 2011 il differenziale di rendimento fra Btp e i Bund tedeschi sfiorò i seicento punti, ora è stabilmente poco sopra i cento.

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