Draghi, l’8 settembre del Movimento 5 Stelle. Così finisce il populismo di governo
Settanta giorni dopo, il governo gialloverde aveva raggiunto un accordo con Bruxelles per riportare il deficit dove voleva l’Europa, il 2,4% diventò un pudico 2,04%, e forse cominciò allora la virata europeista dei grillini, la cosa migliore che abbiano fatto in questi tre anni. La svolta culminò nell’estate del Papeete: abbandonati dal «sovranista», i «populisti» trovarono conforto nell’alleanza con l’ex odiato Pd, detto anche «il partito di Bibbiano». Fu Renzi, incredibile a dirsi, a celebrare il matrimonio.
Forse l’anomalia era troppo grande perché potesse durare. Forse il vizio d’origine diun MoVimento nato contro ogni potere che volle farsi potere condannava al fallimento fin dall’inizio l’esperimento del populismo di governo. Oppure magari non era detto che finisse così, e anzi non è neanche ancora finita la loro storia d’amore col potere. Nelle elezioni del 2018 il M5S cambiò anche antropologicamente. Agli eletti garantiti nel proporzionale, militanti appassionati dei Meet up ma anche lunatici e No vax, si affiancò una nuova leva di candidati nei collegi, di estrazione e ambizione borghesi, in cerca di un ascensore sociale: associati mai diventati ordinari, assistenti non promossi primari, vice capi di gabinetto rimasti troppo a lungo tali. In fin dei conti, una possibile classe dirigente; di seconda fila, certo, ma potenzialmente in grado di maturare. Alle prese con il governo della Repubblica e con le sue istituzioni, giovani come Di Maio e Fico, o come Patuanelli e Sileri, facevano il loro apprendistato, provavano il salto evolutivo che conduce da un agitatore a un amministratore. Non ce l’hanno fatta. Il loro governo è naufragato, manco a farlo apposta, per difendere il più governativo di tutti, quel Conte che, con un elegante giro di valzer, era passato dal Capitano a Zingaretti senza battere ciglio.
Nel 1796 un giovane repubblicano francese, Benjamin Constant, scrisse un libretto con questo sottotitolo: «Sulla necessità di uscire da una rivoluzione». Era un ardente pamphlet, sosteneva che la prospettiva migliore, dopo gli eccessi del Terrore, fosse quella «del ritorno alla politica, della moderazione, dello sviluppo in senso liberale delle istituzioni». In fin dei conti anche i Cinquestelle avrebbero oggi bisogno di un Termidoro, per mettere fine alla loro fase giacobina. Per alcuni di loro, che sono riusciti a governare sia con Salvini che con Renzi, non dovrebbe essere poi così difficile governare con Draghi. A Di Maio, quando l’aveva incontrato, l’ex Presidente della Bce aveva fatto pure «una buona impressione». Ma vorrebbe dire riconoscere che ha ragione Carelli. Non so se ne avranno il coraggio.
CORRIERE.IT
Pages: 1 2