Trattative e veti. L’era di Draghi comincia al buio

Per Draghi la giornata è una lunga serie di obblighi istituzionali: alla Camera e al Senato per incontrare i rispettivi presidenti, con Giuseppe Conte nel palazzo del governo, di nuovo a Montecitorio per un sopralluogo prima delle consultazioni di oggi con i partiti. Draghi per il momento non ha avuto nemmeno tempo di organizzarsi lo staff. Lo aiutano due persone di fiducia, Maria Grazia Ciorra ed Eugenio Sgriccia.

Con scarsa scaramanzia, l’economista vedrà tutti nelle stanze usate dall’esploratore Roberto Fico. Dell’incontro con Conte trapela una notizia che poi Palazzo Chigi si incaricherà di smentire: l’offerta di una poltrona di governo per l’ex premier, agli Esteri. Se la smentita valesse come quella del Quirinale sull’incarico a Draghi, ci sono buone probabilità che l’offerta ci sia stata. A metà pomeriggio per Draghi è abbastanza: imbocca il raccordo anulare con la scorta, alle 19.24 si chiude il cancello della casa in campagna, a Città della Pieve. Passa gran parte del viaggio per sbrigare le ultime telefonate. Una di queste è con l’ambasciatore presso la Lega, Giancarlo Giorgetti. Se c’è un partito che in questo momento ha in mano il destino del governo Draghi, è quello di Matteo Salvini. Chi è Mario Draghi, l’ex numero uno della Bce su cui Mattarella fa affidamento

Oggi Draghi inizierà a incontrare i partiti dalle 15, poi sarà l’ora di sindacati e Confindustria. Non arriverà agli eccessi di Giulio Andreotti (una volta si consultò persino coi commercianti), ma vuol dare l’impressione di un governo vicino ai problemi degli italiani. Le cronache di ieri rendono la cosa piuttosto utile. Il discorso del “Whatever it takes”, quando nel 2012 Draghi disse: “La Bce è pronta a fare il necessario per preservare l’Euro”

Draghi ha di fatto accettato un incarico al buio, non ha ancora una maggioranza su cui poter contare. Ha il sì di Pd, Forza Italia, Italia Viva. I Cinque Stelle sono dilaniati fra il desiderio di una nuova verginità e la voglia di contare ancora. A tarda sera il capo dei governisti Luigi di Maio scrive un post su Facebook che dice no «al governo tecnico». Non è ancora un no a Draghi, di sicuro l’indisponibilità dei grillini a un esecutivo che non abbia fra i ministri persone scelte dai partiti. Per inciso, ciò che fu il governo Ciampi del 1993, prima che venisse nominato presidente della Repubblica. La Lega vorrebbe sostenere il governo ma non vuole farne parte organicamente. Con una certa dose di provocazione Giorgia Meloni si dice disposta all’astensione, purché sia tale per tutti. Salvini è allettato dal sì, perché questo significherebbe prendere le distanze dalla destra sovranista e riaccreditarsi all’estero in vista delle elezioni e del momento in cui occorrerà scegliere il premier del centrodestra. Il numero due Pd Andrea Orlando, fra i più scettici sull’operazione Draghi, chiede di «prendere drammaticamente sul serio le parole di Mattarella. Il Pd vorrebbe una maggioranza larga». Ma la maggioranza larga ancora non c’è.

LA STAMPA

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