Draghi ha un ostacolo: si chiama Conte
Stretto tra la paura di una competizione sul terreno della protesta con la Meloni e la necessità di una proposta per rappresentare il suo mondo ha scelto di avviare il governo, confidando, visti gli equilibri che si prospettano, di averne la golden share potendo staccare la spina prima del semestre bianco con la prospettiva del voto a ottobre: pochi mesi, e stacco la spina.
Ecco il perché dell’appello di Dario Franceschini ai Cinque stelle e a Conte: solo un loro sostegno al governo consentirebbe di non consegnare alla destra il destino di Draghi. E, al tempo stesso, di mantenere la prospettiva di un’alleanza giallorossa la cui fragilità, anzi il cui collasso, è stato disvelato proprio dalla crisi del governo Conte, proprio perché non era un’alleanza politica ma un accrocco rimasto in piedi solo col cemento della governabilità senza un fine. Il centrosinistra è andato avanti senza Moro e l’Ulivo andò avanti senza Prodi. Dire che senza Conte non c’è più l’alleanza tra Pd e Cinque stelle rivela che quell’alleanza non c’è mai stata come un orizzonte comune, visione, idea di paese oltre i ministeri e il potere.
Il governo nascerà, in qualche modo nascerà, anche con un gioco di astensioni, dopo un giro di consultazioni col presidente incaricato in cui ognuno andrà con una lista della spesa a cui vincolare la fiducia, come un Draghi ter qualunque. La crisi ha cioè disvelato un mostro che in questi mesi ha covato sotto la cenere, riproducendo se stessa anche nel mutare del contesto. L’opposto dell’unità nazionale di sforzi e di spirito, altro che inciucio, che il momento richiede.
L’HUFFPOST
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