Draghi, per il governo l’idea di incarichi a «personalità d’area» per tenere insieme la maggioranza
di Francesco Verderami
Ha già incassato la fiducia dell’Europa e dei mercati, incasserà presto la fiducia del Parlamento. Quarantottore fa Mario Draghi
non aveva i numeri per varare il suo governo, ventiquattrore dopo ne ha
persino troppi: c’è la ressa. Ci sono i grillini liberatisi dalle mire
di Conte, c’è il Pd e ovviamente Renzi, che ha prodotto il big bang nel
Palazzo. Poi c’è Berlusconi e in più si approssima Salvini, spinto verso
l’ex presidente della Bce dal Nord produttivo prima ancora che dai suoi
governatori e dai dirigenti del suo partito.
È l’unità nazionale. Nemmeno Draghi immaginava che il disgelo si verificasse in così poco tempo. Caduto ogni pregiudizio, stanno cadendo pure storici steccati. Il Pd — che aveva già dovuto metabolizzare la crisi del suo governo e il controllo della corsa per il Quirinale — sperava almeno di resistere dietro una gracile linea Maginot: «Mai con i partiti eversivi», come aveva detto tra il serio e il faceto il costituzionalista Ceccanti, poche ore prima che il capo dello Stato assegnasse l’incarico al braccio destro di Ciampi.
Con Draghi è cambiato tutto. E ieri Zingaretti l’ha fatto capire chiaramente: «Pd e Lega sono alternativi ma spetterà al premier incaricato costruire la maggioranza». «Troveremo il modo per gestire gli equilibri che dovranno portarci fino all’elezione del capo dello Stato», spiega uno dei notabili dem: «Poi si andrà alle urne». Se così stanno le cose, anche il percorso sarebbe più chiaro. Il governo di scopo potrebbe avere durata limitata: il tempo di mettere in sicurezza il Paese e assegnare Draghi a un futuro incarico istituzionale.
Ma l’ex uomo di Francoforte intanto è concentrato sul presente e si prende del tempo. Ha già previsto il secondo giro di consultazioni che avvierà all’inizio della prossima settimana. Al primo giro, sta facendo ai suoi interlocutori la stessa domanda finale: «Propendete per il governo tecnico o politico?». Le dimensioni che sta assumendo la maggioranza lo inducono a riflettere se sia più opportuno scolorire politicamente l’esecutivo con esponenti di partito capaci di dialogare pur nella diversità di collocazione, oppure — come sembra più probabile — affidarsi a personalità di area.
Il confine è sottile, la differenza è evidente. E chissà se a Draghi giunge l’eco dei partiti, dove già si sgomita per avere un posto finestrino. Per adesso è
fermo alle questioni di programma, che espone a ogni gruppo consultato,
e che ruota attorno all’ormai nota parola d’ordine: «C’è un debito
buono e un debito cattivo», ci sono gli investimenti e i soldi dati a
pioggia, gli aiuti all’imprenditoria per rilanciare l’occupazione e i
sussidi. Già questo basta per evidenziare un segno di discontinuità
rispetto al passato. E rispetto al passato nel Palazzo si assiste a una
rivoluzione.
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