Draghi, lo sbarco di un «marziano» nel mondo della politica social: sul web non ha alcun profilo
La politica, insomma, ormai si fa sui social. O, peggio, i social fanno la politica. Comese la caverà allora Mario Draghi, col suo stile da sacerdote della moneta, della cui vita personale non si quasi nulla, se non che frequentava il Liceo Massimo, conosceva Magalli e giocava a calcio, o forse a basket? Intendiamoci, volendo SuperMario potrebbe spaccare. Pure il cognome sembra perfetto per l’engagement dei fan: i “draghetti” già esistono, numerosi ed entusiasti, in rete. L’account ufficiale del Quirinale ha fatto boom (quasi ventimila like) all’annuncio dell’incarico: il pubblico, si sa, è affamato di novità. Né a Draghi manca la capacità di comunicare. Anzi. I banchieri centrali hanno sviluppato negli ultimi anni una strategia meno ieratica del passato nei confronti della comunicazione, e hanno addirittura imparato a usarla come strumento della politica monetaria. In inglese si chiama «forward guidance», e consiste nel dire, o far capire, ciò che intendono fare per orientare o spaventare i mercati. Insomma: a Mario Draghi bastarono tre parole, «whatever it takes», per salvare l’euro (e l’Italia) nel 2012. Sarebbe un twittarolo magnifico, se solo volesse.
Ma è difficile che lo farà. L’ultimo «tecnico» ad arrivare a Palazzo Chigi, Mario Monti ormai dieci anni fa, non aprì un account social fino alla fine dell’esperienza di governo, e cedette solo per varare la sua lista alle elezioni. Però i tempi sono cambiati. La politica è prima empatia, e poi, se va bene, consenso. Se Draghi diventerà premier dovrà inventarsi qualcosa: una sobrietà sì, ma più ruggente, da Anni Venti. Non vorremmo essere nei panni del portavoce.
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