La nostra classe dirigente e il sapere che serve in politica
Tra i fattori che hanno determinato la pessima qualità della nostra classe politica mi sembra particolarmente importante l’assenza di quella particolare componente della cultura di base che è la cultura umanistica (non necessariamente classica, non necessariamente il latino e il greco), checché ne possa dire chi evidentemente non si è mai chiesto come mai nella vicenda ormai più che secolare delle grandi democrazie gli ingegneri, i chimici o gli imprenditori che abbiano ricoperto la carica di capo del governo siano un numero assolutamente esiguo. Un puro caso?
Non credo. È più ragionevole supporre, mi pare, che ciò sia dipeso dalla scarsa spinta a dedicarsi alla vita pubblica da parte di chi possiede un sapere o esercita un’attività fortemente connessi alla pratica o alla razionalità formale. Ambiti cioè che poco hanno a che vedere con la politica, il cui cuore, contrariamente a quanto molti pensano non sta in alcun saper fare ma altrove. Il cuore della politica democratica sta piuttosto nel capire l’aria dei tempi e nel presagire il futuro, in un mix di realismo e di fantasia, di fermezza e di duttilità; sta nella conoscenza del passato e nell’aver frequentato i luoghi del proprio Paese, sta nell’intendere i suoi problemi, le loro premesse e le loro connessioni, e nell’immaginarne le relative soluzioni (immaginare non gli aspetti pratici, che semmai sarà compito dei tecnici mettere a punto, bensì il principio di fondo su cui basare l’eventuale soluzione). L’essenza della politica democratica sta nella capacità di trattare le persone, e quindi di suscitare convinzioni ragionate e insieme emozioni, e dunque anche nella retorica, cioè nel saper trovare le parole giuste per arrivare al cuore e alla mente della gente comune, le parole semplici ma insieme alte che accendono le speranze e le volontà.
Proprio di tutte queste cose da anni mostra di fare tragicamente difetto la classe politica italiana. Delle cose che nella nostra tradizione sono considerate da sempre non come il prodotto di uno specifico saper fare, lo ripeto, bensì di un sapere generale nutrito di storia, di diritto, di economia, di letture di ogni tipo, di una conoscenza dell’umano e del mondo che deriva dalla dimestichezza con i libri, le persone, le idee, che parlano di entrambi. Ma diciamolo chiaramente: la misera pochezza della nostra classe politica non viene dal nulla. Nasce da quello che è diventato il nostro Paese negli ultimi decenni. Nasce dal dileguarsi delle élite, dal vuoto ideale, da un certo disinvolto appiattimento delle relazioni sociali, dalla crescente incapacità delle istituzioni educative. La classe politica italiana non può guarire l’Italia proprio perché è essa stessa parte della sua malattia: in Mario Draghi riconosciamo tutti con sollievo almeno un medico all’altezza della gravità del morbo.
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