Effetto Draghi: posti in piedi e cappello in mano

Effetto Draghi: posti in piedi e cappello in

Il paradosso di questa storia, che consuma tappe prima ancora che si manifestino, è che Mario Draghi corre il rischio del “troppo”, non del “troppo poco”. Perché, detta in modo un po’ prosaico, davvero non ce n’è uno che adesso non voglia entrare nel governo, a tutti i livelli e in ogni partito pronto ad offrire il sostegno. Raccontano che anche Matteo Salvini, dopo l’iniziale perplessità, ci abbia preso gusto. E abbia iniziato a immaginare un suo ritorno in grande stile, dopo aver constatato quanto gli sia costata la perdita del Viminale in termini di consensi. E vorrebbe tanto rientrare, magari proprio lì, per ricominciare da dove tutto era finito.

Raccontano anche che Beppe Grillo, grande artefice di questa ennesima svolta del Movimento Cinque Stelle dopo l’estate del 2019, arriverà a Roma con la precisa intenzione di traghettare le sue anime perse in un’operazione che, con ogni evidenza, non contempla alternative. Perché ormai lo hanno capito anche i sassi che, se salta Draghi, salta l’Italia. Vuoi per ragioni di tenuta interna, vuoi per un disegno più alto, la svolta è riassumibile soprattutto in una casella in un nome. La casella della Farnesina, da affidare all’Elevato Conte. Il nome più ingombrante, per tutta una serie di ragioni essendo il presidente del Consiglio uscente, che peraltro è stato protagonista di una serie episodi diplomaticamente non felici col presidente del Consiglio in pectore, da alcune dichiarazioni di mal celata insofferenza al mancato invito, in quanto troppo ingombrante, agli Stati Generali, concepiti come il conclave delle migliori menti per risollevare l’Italia. E così via, compreso Nicola Zingaretti che, ospite di Otto e Mezzo, non ha escluso un suo ingresso nel governo con la stessa nettezza con cui smentiva l’eventualità, quando gli veniva prospettata in relazione al governo precedente. E l’elenco potrebbe continuare, giù pe’ li rami, scorrendo l’elenco del Conte 2, del Conte 1, e di quelli che, nel Conte 2 e nel Conte 1, hanno visto le proprie ambizioni ministeriali frustrate.

Insomma, la fotografia di giornata è questa: in 72 ore scarse si è passati dal “se nascerà” (ricordate il quesito: “avrà i numeri in Parlamento?”), al “come nascerà”, in un gioco di veti in cui il Pd aveva sofferenza per la presenza della Lega, la Lega sulla presenza di Grillo, i Cinque stelle su tutto ciò che non fosse Conte. Al terzo giorno, caduti i veti, siamo al “chi ci sarà”. Perché la verità è che i veti sostanziali, quelli sull’inconciliabilità degli opposti non ci sono più, resta solo un ragionevole “ci confronteremo sui contenuti”. Titolo di Salvini: “Vorrei che ci fossero tutti”.

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