Effetto Draghi: posti in piedi e cappello in mano
Titolo di Zingaretti: “Deve essere un governo europeista”, che è come andare a trattare con Pirlo chiedendogli di essere juventino. Punto. Il che ci dice due cose. La prima è che l’affollamento odierno, neanche tanto sorprendente, è davvero il segno dei tempi: si può passare da una formula all’altra, ma l’unico eccitante è sempre la prospettiva di posti al governo, con ministri buoni per tutte le stagioni. Unica logica ferrea, questa, di una classe politica che, dopo aver portato il paese sull’orlo di una crisi di sistema e subito la risposta all’ultima chiamata, concepisce anche l’ultima chiamata come le precedenti, in termini di tutela dei destini individuale.
La seconda riguarda il peso delle parole, l’enfasi con cui vengono dette e la leggerezza con cui vengono rimosse che, a questo punto, consiglierebbe di bandire dal lessico politico i “sempre” e i “mai”, su cui si potrebbe scrivere un articolo infinito, dal “mai con i Cinque Stelle”, al “mai col partito di Bibbiano”, al “mai con Renzi”, al “mai senza Conte”, per terminare col “mai un governo tecnico”, accompagnato dalla richiesta di elezioni, finché il protagonista dell’editto non diventa protagonista di ciò che ha negato. E dunque, mai dire mai.
A sfogliare i libri di storia italica, ci sono tanti momenti di incontro tra diversi, per scelta e necessità. Non facciamola tanto lunga sul dopoguerra. Non scomodiamo Moro, e lo spirito autentico con cui i partiti di allora realizzarono l’unità nazionale: “Alla fine di questa esperienza, resterà qualcosa di noi in voi, e qualcosa di voi in noi”. Perché in questi casi il sentiero fu una scelta non subita, ma costruita dalle forze politiche. Anche con i governi di emergenza di Ciampi, un franco successo, e di Monti, assai meno felice, l’esperienza si fondava comunque su un sistema di partiti meno liquidi e più consapevoli. Non sul default della politica, come nel caso attuale, nell’era dei partiti liquidi e dei leader mediatici, pronti a entrare nel governo non per portare un principio di ragionevolezza e moderazione, ma per drogare il numero dei follower.
Ora tocca a Draghi comporre il complicato puzzle del governo per assicurarne solidità e coesione. Perché è vero che con quel nome non c’è alternativa, senza che l’Italia ne paghi un prezzo altissimo. Ma la vera sfida è che questa fase sia alternativa alla precedente – pensate al primo sciopero, al primo barcone, al primo dibattito sulla giustizia – con Draghi vissuto come uno scudo di credibilità per proseguire col solito andazzo.
L’HUFFPOST
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