Italia First. Forse potrà dirlo Salvini, ma potrà farlo solo Draghi
Dopo quasi tre anni il cui sfarzoso epilogo s’è avuto ieri con Giuseppe Conte al tavolino in piazza Colonna, e il portavoce Rocco Casalino che invitava i cameraman a non riprendere palazzo Chigi, non trattandosi d’una iniziativa istituzionale, e dunque palazzo Chigi non doveva vedersi anche se era lì, anche se c’era fisicamente, con ognuno dei suoi mattoni, e cioè il racconto doveva escludere la realtà, per dire che cosa è circolato dentro certe teste in questi lunghi mesi, e comunque dopo un decennio, un decennio e mezzo, complessivamente e tranne rare eccezioni un po’ troppo sotto il limite della decenza, ecco, dopo tutto questo tempo la sola idea di avere Mario Draghi a palazzo Chigi dovrebbe mettere di buon umore anche i depressi.
Il rischio di farsi prendere dalla sindrome del loden, e cioè dall’euforia fanciullesca che condusse molti di noi a sdilinquirsi per Mario Monti, per la sua sobrietà, per il suo umorismo (buongiorno professore, come sta? – Bene, è una bella giornata – e giù a ridere come nemmeno per Groucho Marx), e infatti per le leggi della fisica la santificazione si rivoltò nella più incurante diffamazione, ecco, dicevo, il rischio è forte e toccherà darsi un contegno. Sarà lo sforzo di Ercole, se soltanto ci si sofferma pochi secondi a riflettere, come l’ottimo Piercamillo Falasca (direzione nazionale di Più Europa) sul circense spettacolo di una legislatura aperta dalla (umoristica) minaccia di impeachment a Sergio Mattarella da parte di Luigi Di Maio, poiché resisteva alla nomina a ministro di Paolo Savona col suo piano di uscita dall’euro, e che promette di chiudersi con un governo a guida del presidente emerito della Banca centrale europea, sostenuto dal medesimo Di Maio con entusiasmo almeno pari al nostro.
Ma, e vengo al punto, stupefacente è la resistenza dei sovranisti, e forse c’era bisogno di un’ultima prova a dimostrare che sono più sciocchi che pericolosi (per quanto la pericolosità degli sciocchi mai va sottovalutata). Giorgia Meloni resterà all’opposizione del governo, Matteo Salvini più probabilmente finirà con l’entrarci, e più delle parole ferventi di Giancarlo Giorgetti, attese, sono quelle in una bella intervista alla Stampa di Alberto Bagnai, responsabile del dipartimento economia della Lega, a restituire il senso di una manovra consapevole: sempre con un sovrapprezzo di tracotanza (peccato veniale), Bagnai si concentra sul succo della questione, piano del recovery, piano vaccinale, ristori. Eppure, è proprio Salvini a sprofondare in sé stesso, nella sua inadeguatezza oltre il mercimonio di carabattole, quando annuncia di voler imporre a Draghi – sennò nisba – la guerra ai barconi e alle patrimoniali di Beppe Grillo. Proprio non ce la fa a non essere sguaiato, fuori fuoco, non ce la fa a uscire dalla logica del click e del like, non ce la fa a non addentrarsi nei territori della festa di piazza che sono la periferia del centro a cui il mondo si sta dedicando.
Nemmeno un bacio del cielo avrebbe offerto ai sovranisti un’occasione più favorevole di un tiro in rete dalla linea di porta, e non sanno coglierla. Giorgia Meloni ha l’aria di considerare la tanto sbandierata presidenza dei conservatori europei (carica che ricopre da settembre) un punto d’arrivo anziché un punto di partenza, e allora tanti auguri, i sondaggi continueranno a crescere, l’affidabilità internazionale no. E tanti auguri a entrambi, incapaci di realizzare che prima gli italiani, se è espressione con un senso, lo ha adesso con Draghi capo del governo. Dice giustamente Bruno Tabacci che fino a ieri noialtri ci siamo chiesti, andando a Bruxelles, che avrebbe pensato di questo o di quello Angela Merkel, che avrebbe pensato Emmanuel Macron, o Ursula von der Leyen. Da ora in poi saranno gli altri a chiedersi che pensi Mario Draghi. Fra sei mesi sarà lui l’uomo forte dell’Unione, se avrà un governo e una maggioranza con le due dita di testa necessarie a sostenerlo.
Pages: 1 2