Draghi, la svolta di Matteo Salvini (ispirata da Giorgetti) che spiazza un po’ tutti

E poi c’è la politica, quella che non si consuma nello spazio di un sondaggio. Il 16 dicembre, quasi due mesi fa, Giancarlo Giorgetti faceva con il cronista del Corriere tre considerazioni: il governo Conte cadrà, il centrodestra non è pronto a governare, un governo «con dentro i migliori, guidato dal migliore», cioè Draghi, può servirci anche a cambiare l’immagine internazionale della Lega, e dare a Salvini la credibilità e l’affidabilità che ancora non ha. Una profezia.

D’altra parte, fare l’antieuropeo per partito preso oggi, mentre dall’Europa stanno per arrivare centinaia di miliardi, porterebbe allo stesso isolamento che pagò il Pci negli anni 50, facendo l’antiamericano mentre il Piano Marshall innescava il «miracolo italiano». E poi Draghi non è Monti: l’altro Mario venne per tagliare, questo per spendere. Nel suo discorso di ieri, Salvini ha insistito non a caso su ciò che lo porta verso l’ex presidente della Bce: anche lui è uno “sviluppista”, con lui si può parlare di cantieri, di lavoro, di taglio delle tasse. Del resto Draghi è anche l’uomo che ha aperto la strada a una forma di condivisione del debito in Europa: oggi per la prima volta i soldi dei tedeschi e dei francesi possono essere investiti in Italia. Ma se noi falliamo nell’usarli bene, cioè per rilanciare la nostra economia e così aiutare anche quella tedesca e francese, questa sarà l’ultima volta. E dopo si tornerà all’Europa che non piace a Salvini, quella dell’austerità punitiva. Draghi gliel’ha detto, più o meno in questi termini: capito perché anche i “nazionalisti” devono sperare che il mio tentativo abbia successo?

«Non puoi governare l’Italia se non fai parte delle forze di governo in Europa», gli sussurrava da tempo la voce di dentro di un “consigliere” liberale, per traghettarlo da Perón a Pera. Chissà se, ora che le carte della politica sono state tutte rimescolate, quel professore verrà ascoltato anche su un altro punto: intestarsi l’intero centrodestra, e sceglierne uno con una storia spendibile. A Salvini mancano ancora molte cose per riuscirci. Ma per cominciare, dice un nostalgico del Pdl che ieri gli ha fatto i complimenti, potrebbe guidare nel prossimo giro di consultazioni una delegazione unitaria del centrodestra di governo, con Berlusconi e i popolari, e senza la Meloni. Dimostrerebbe così di essersi emancipato dalla paura che l’ha attanagliato in questi mesi: avere un concorrente a destra. Anche perché dai sondaggi non pare che ci siano molti italiani entusiasti di andare sull’Aventino. Stare al governo può anzi dare un dividendo; e nessuno lo sa meglio di Salvini, che al Viminale ha visto raddoppiare i suoi consensi.

Anche se non sarà il «governo dei migliori», agli italiani interessa che sia un governo migliore del precedente. Salvini non può rifiutare una scommessa così.

CORRIERE.IT

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