Crepet e il post-pandemia: “Ci salveranno un gelato con il migliore amico e la manutenzione dei sentimenti più semplici”

emanuela minucci

La parola d’ordine, per alcuni, è forza. Per altri, fragilità, o, ancora (l’ormai ubiqua) resilienza. Sono le modalità fra cui il genere umano dovrà scegliere per uscire il meno ammaccato possibile dal lockdown. Il confinamento trita-affetti che ha cancellato ogni certezza è stata solo un’apocalisse o anche un’occasione di arricchimento? E poi: indietro, si potrà tornare? Oppure il «digito ergo sum», la smartizzazione della vita, un like al posto di un abbraccio, gli auguri via Skype della nonna come surrogato della sua formidabile torta al cioccolato ha ormai passato il confine dell’adattabilità umana?

È il cuore del dibattito che vuole suscitare il libro La fragilità del bene (Einaudi, 455 pp, 15 euro) dello psichiatra Paolo Crepet. Raccoglie tre saggi, scritti in passato, ma riproposti con potente attualità, su altrettanti capisaldi dell’esistenza: amore, amicizia, felicità. Una sorta di Etica per l’uomo e la donna contemporanei: «Oggi più che mai – spiega Crepet – per uscire dall’abbraccio mortale del virus e cominciare a guardare il futuro c’è bisogno di ripescare e rieditare tre parole sacre che il presente ha reso ancora più fragili: perché durante il lockdown tutti abbiamo scoperto improvvisamente che i beni primari, come la libertà di stare vicini o abbracciarsi, non erano qualcosa di scontato, così come la bellezza e la salute. Abbiamo capito quanto era breve la strada per diventare analfabeti emotivi di ritorno».

La pandemia ci ha gettato in un «oltre» tecnologico e sterilizzato da cui non è facile tornare. L’unica via sicura, a parere dell’autore, per riemergere dalla pandemia più consapevoli e forti di prima è ripartire dalle certezze del sentimento. Crepet prende per mano il lettore e lo guida al ritorno alla normalità, forte di un naufragio emotivo in grado anche di fortificare.

Il valore dell’empatia

Un saggio appassionato, insomma, che mette a fuoco i legami che rendono uniche le nostre vite. Partendo dal fatto che l’isolamento imposto dalla pandemia ci avrà pur fatto imparare qualcosa, soprattutto se la distanza anche mentale cui ci hanno abituato le riunioni su Zoom e la didattica via web, non diventerà un modus vivendi: «Con questo non voglio dire che finita la peste si torni a ballare – spiega Crepet – ma certamente, dopo aver capito che si può lavorare smart, o salutare un’amica su WhatsApp video, tutto questo non potrà mai sostituire la vita vera: quella di un gelato preso con la nostra migliore amica, la nascita di un’idea da una squadra che lavora gomito a gomito, nello stesso posto, trasformando la pallina da ping pong che rimbalza sul tavolo in un colpo vincente». Effetti che si ottengono grazie all’empatia, alla condivisione, e anche a un particolare linguaggio del corpo».

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